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ago 8, 2021 - Notizie    2 Comments

Lance fra i due mari

La Storia ha i suoi ritorni ciclici, alla fine di un lungo viaggio si ritorna al punto di partenza anche a distanza di secoli. Taranto non è esclusa dal destino ricamato dalle Moire le sinistre donne della mitologia greca.

Fermiamoci dunque in un momento in cui l’ex colonia dei figli di Sparta, con il nome di Taras leggendario fondatore, si era liberata della protezione crudele e benevola di Roma per entrare nei tempi cosiddetti “oscuri” per studiosi nati quasi mille anni dopo gli avvenimenti. Lasciamo per un momento la Nobilissima Urbs per allargare la visione all’intero “mondo conosciuto” così come era stato delineato dalle carte di Eratostene e Tolomeo: il Mediterraneo non più Mare Nostrum.

Fin dalla notte dei tempi il bacino del Mediterraneo si prestava alle azioni belliche e piratesche. Poche civiltà erano state risparmiate dal flagello. Il dominio romano aveva interrotto tale attività con campagne militari sostenute con tenacia da Pompeo ed Ottaviano. La flotta militare romana, negli anni migliori dell’Impero, ha garantito la pace in tutto il Mare Nostrum.

La Puglia, una regione alquanto sfortunata, fu uno dei teatri principali del mediterraneo in fiamme. La posizione strategica permetteva il controllo della penisola un tempo centro di quell’Impero che Giustiniano e i suoi successori sognavano di ricostituire ad ogni costo. Le sanguinose guerre ( dal 535 al 553 ) fra Romaioi e goti ne testimoniavano la volontà anche contro la forza della Storia stessa.

Taranto, poco prima delle guerre greco-gotiche, era ancora strutturata nella combinazione di vecchia acropoli con l’area urbana di epoca romana ancora protetta da difese murarie di età imperiale. Le necessità belliche trasformarono l’urbe a spese soprattutto dell’acropoli, area di templi ed edifici pubblici, in una nuova dimensione socioculturale con in sé le premesse del futuro Borgo Vecchio. L’antichissima industria della porpora ricavata dai molluschi, d’altro canto, permise il mantenimento di un patriziato e di un ceto mercantile che non badarono a spese per proprie ville e residenze destinate ad essere, in diversi casi, fortificazioni private negli ultimi anni dell’Impero. I goti, contendendo aspramente con le armate di Belisario la penisola, dilagarono in Puglia. Il conflitto interessò molto da vicino Taranto, essendo utilizzata dall’Impero Giustinianeo come punto di scalo per le truppe dirette a difendere Otranto ,importante base per il controllo della Puglia.

Totila, il sovrano dei goti, precisamente ostrogoti, conquistò Taranto nel 549 d.C. per il suo valore strategico di collegamento. La dominazione ostrogota sulla città fu di relativa breve durata ma sufficiente per il completamento delle ristrutturazioni iniziate dai bizantini con aggiunta di un paio di nuove torri ( le torri del Gallo e del Cane ) ancora visibili fra le abitazioni del borgo vecchio. I bizantini, ritornati nel 552, si preoccuparono di estendere le difese anche dove sorgevano complessi termali attualmente sepolti dall’attuale Piazza Ebalia. Il risultato fu la realizzazione di infrastrutture difensive alle basi di quello, fino a non molto tempo fa ,erroneamente ritenuto castello saraceno in relazione all’accampamento tenuto dai futuri invasori pirati in loco molti secoli dopo.

Le grandi devastazioni delle guerre greco-gotiche avevano danneggiato notevolmente il commercio in tutta la penisola compresa Taranto che fino a quel momento importava ed esportava merci e ricchezze in particolare con la Calabria. Nonostante le difficoltà economiche ebbe vita, nell’assetto sociale ed urbano, una piccola ma intraprendente comunità ebraica, della quale sono stati rinvenute, verso la fine del 1800, alcune iscrizioni e tombe, in particolare nella zona attualmente occupata dal Palazzo degli Uffici.

La penisola italiana era quasi completamente devastata dai passaggi distruttivi degli eserciti imperiali e goti aprendo la strada ad una nuova invasione stavolta portata avanti dai longobardi che entrarono in scena nel 568 d.C. Un enorme numero di persone, non solo guerrieri, era guidato da Re Alboino marito di Rosmunda da noi più conosciuta per il bevi rosmunda! dal teschio tondo del tuo papà! ( Cunimondo re dei Gepidi ) nella satira di Achille Campanile poliedrico giornalista e sceneggiatore del XX secolo. Ad un mito raccontato dallo storico Paolo di Warnefrido, più conosciuto come Paolo Diacono autore della celebre Historia Longobardorum si fa risalire il nome longobardi. Lo storico narra che una grande battaglia era imminente fra il popolo dei Winnili e nemici non ben identificati wandali ( da non confondere con gli storici vandali conquistatori della penisola iberica e Africa verso la fine dell’Impero romano ). Frea, consorte del dio Odino, intendeva dare la vittoria ai Winnili contrariamente alla volontà del marito che ha scelto invece i wandali. La moglie, venerata dea della fertilità e dell’amore, ordinò alle donne winnili di presentarsi ad Odino con i capelli riversi sul volto come se fossero lunghe barbe alla maniera dei loro compagni guerrieri per ottenere, con inganno, la forza del padre degli dei. La vittoria, così come ottenuta, fu schiacciante e da quel momento il popolo dei Winnili assunse il nome di longobardi per le lunghe barbe sfoggiate da uomini e donne unite dal medesimo coraggio virile in contrapposizione con i più civilizzati ma indeboliti romani secondo quanto, forse, voleva far intendere il cristianizzato ma orgoglioso storico longobardo Paolo. Esiste anche un altra teoria per spiegare il mito quale la possibilità che gli antichi Winnili non avessero la barba a differenza dei nemici favoriti da Odino con la conseguenza che Frea, astutamente, ingannò il compagno con lo stratagemma delle finte barbe fatte dai capelli per strappare la vittoria per mano sua.

In ogni caso, i longobardi, noti anche per le lunghe lance, scesero in Italia portandosi dietro anche numerose schiere di alleati e vassalli sottomessi in seguito a numerose vittorie conquistate sul campo senza incontrare molta resistenza dalle indebolite forze imperiali e da una popolazione stanca di disordini, tasse e saccheggi di un conflitto interminabile. Numerose città, pur diroccate e ombra di quelle che furono, cedevano le chiavi al loro passaggio particolarmente evocato con tinte fosche dalla letteratura ecclesiastica che deplorava saccheggi di luoghi religiosi e uccisioni di sacerdoti. Dal 572 d.C in poi iniziò a prendere corpo il dominio territoriale dei longobardi su gran parte dell’Italia con capitale nominale Pavia poco tempo dopo la morte improvvisa del re condottiero Alboino fatto uccidere da Rosmunda. Il regno era in realtà una confederazione di feudi privati governati dai duchi ( dal termine latino Dux “comandante” ).

Una nuova congiura, stavolta supportata dall’Imperatore Giustino II desideroso di rivincita, pose fine al primo embrione di regno con la morte del Re Clefi successore di Alboino.

Prima di tali eventi, un condottiero, Zottone, pensò di conquistare un proprio dominio personale scendendo a sud Italia dove ancora diversi territori restavano sotto l’Impero con buone prospettive di bottino e gloria. Il suo esercito, evitando le ben presidiate coste, attraversava il montuoso entroterra appenninico utilizzando, secondo alcune ipotesi, la ancora efficiente Via Flaminia.

Nel 570 d.C Benevento, investita dall’assalto longobardo, cadde facilmente permettendo ai longobardi di rafforzare le proprie posizioni senza molestie da parte degli imperiali troppo impegnati in altri fronti in tutto il Mediterraneo, sfruttando anche l’appoggio di soldataglia senza paga e lavoro da parte del Basileus nella regione.

Il monastero di San Benedetto di Cassino fu fatto oggetto di saccheggio sistematico, data incerta ma circa anni ’80 del VI secolo. I longobardi, a differenza dei precedenti invasori, si distinsero nell’evitare stragi inutili di innocenti come è testimoniato dal fatto che Zottone permise al clero del monastero di rifugiarsi a Roma dove governava, formalmente in nome dell’Impero, il pontefice e vescovo della Caput Mundi Pelagio II. Mentre Zottone proseguiva, un’altra colonna guidata da un altro avventuriero, Faroaldo, marciava fra le montagne. Egli procedeva senza essere ostacolato dai bizantini più propensi a comprare i nemici ma inevitabile per essi la perdita di vasti possedimenti in Italia centrale ad eccezione delle coste e le difese di Roma.

Faroaldo stabilì così in breve tempo il ducato di Spoleto e, subito dopo, tentò persino di conquistare l’Urbe in rovina senza riuscirci ma il suo dominio era destinato, ben presto, a diventare uno dei ducati più potenti e longevi del reame longobardo.

Le armate longobarde erano piccole di numero con la conseguenza che tendevano a consolidare il potere della propria gente con propri insediamenti fortificati denominati Fara da cui un certo numero di attuale cittadine tuttora conserva le proprie origini, in particolare in Abruzzo come Fara di San Martino presso Chieti. I nuovi padroniseparati dal contesto urbano e sociale dei romani sottomessi, in cambio della perdita di status di cittadini liberi, permettevano alle popolazioni soggette l’esercizio delle proprie leggi e li esentavano, di norma, da obblighi di servizio militare.

I longobardi irruppero nella scena sottraendo la città ( 568 d.C ) ai romaioi indeboliti da incessanti lotte di frontiera contro nemici secolari quali Parti e barbari balcanici come Avari e Bulgari.

I dominatori, per diverso tempo, preferivano propri capi militari ( duchi ) piuttosto che sottostare docilmente ad un vero governo centrale monarchico. Il mezzogiorno, in particolare Puglia, era difatti controllata da signori di Salerno e Benevento e da altri ducati minori. I bizantini cercavano così di tenere sotto controllo la situazione ricercando alleanza con i franchi. I longobardi però erano anche disposti a pagare tangenti agli antenati di Carlo Magno anche in pieno svolgimento di un conflitto per prevenire l’accerchiamento.

Durante il periodo la città di Taranto, rifiorì intanto per la ripresa degli scambi commerciali pur nettamente ridimensionati guadagnandosi l’appellativo di Satis Opulentas ( dal latino “abbastanza ricca” ) dallo storico monaco di Cividale Paolo Diacono ( VIII secolo ).

Taranto ritornò presto ad essere una base per operazioni militari dell’Impero d’Oriente in Puglia contro i longobardi così come raccontava sempre Paolo Diacono, autore e storico della celebre Historia Langobardorum:

l’imperatore Costante II Eraclio giunse a Taranto, partito di là. Invase i territori dei Beneventani ( … ) Attaccò con gran forza anche Lucera, ricca città della Puglia, poi, espugnatala,la distrusse radendola al suolo ( 663 d.C )

Si stima che l’esercito fosse costituito in buona parte di armeni, ottimi combattenti e bene armati, da sempre considerati positivamente fin da quando combatterono come alleati sotto i vessilli del vecchio impero romano contro i parti secoli prima.

L’esercito imperiale proseguì l’avanzata fin sotto le mura di Benevento allora difesa strenuamente da Romualdo che richiese aiuto al padre Grimoaldo allora padrone di terre in Nord Italia. Grimoaldo accettò di intervenire ma dovette anche combattere contro i franchi allora alleati dei bizantini nei territori settentrionali. I longobardi impegnarono gli imperiali con rapide sortite contro gli accampamenti e Costante, alla notizia dell’imminente arrivo di Grimoaldo vincitore contro i franchi ad Asti, rinunciò all’assedio ritirandosi a Napoli. Paolo Diacono raccontava di una vittoria longobarda presso il fiume Calore da parte di alleati capuani di Romualdo. Nella battaglia di Forino, in Campania, gli imperiali vennero poi definitivamente sconfitti nel 663 d.C. La fallimentare campagna spinse Costante a ricercare compenso a spese di Roma secondo quanto narra Paolo Diacono :

( … ) la spogliò di tutto il bronzo posto in tempi antichi ad ornamento della città, e giunse al punto di scoperchiare anche la basilica della Beata Maria ( Pantheon )

La condotta violenta e spregiudicata dell’Imperatore è stato motivo poi di complotti contro la sua persona fino all’attentato mortale nel 668 d.C a Siracusa. Un ennesima guerra civile scatenata dall’usurpatore armeno Mecezio lasciò il campo libero ai longobardi che sottomisero facilmente la Nobilissima Urbs. I bizantini rimarranno divisi ed indeboliti dalle lotte di successione culminate per vent’anni fino all’ultimo imperatore della dinastia eracliana Costantino II.

Le vicende nei domini longobardi si legarono con il destino di Taranto per quasi due secoli. Una sanguinosa contesa, nel 840 d.C, si scatenò fra i fratelli Siconolfo e Sicardo figli di Sicone duca di Salerno e Benevento. Sicardo prevalse conquistando i propri diritti di dominio imponendo allo sconfitto la vita monacale a Taranto a scopo di tenerlo sotto controllo. In quei terribili tempi era saggezza uccidere i fratelli e parenti per assicurarsi il potere ma Sicone, forse per scrupoli, preferì non sporcarsi le mani imponendo l’esilio. Il vendicativo Siconolfo non rinunciò mai al trono che gli era stato sottratto abbandonando presto la via della tonsura impostagli. Orso, conte di Conza, parente ed alleato lo tenne sotto la sua protezione, permettendogli di guadagnare supporto in diverse città utilizzando i suoi legittimi diritti al trono ducale. In seguito alla morte di Sicardo, Il ducato era nelle mani del ministro Radelchi, sì capace amministratore del tesoro ,ma illegittimo per i potenti signori locali che scelsero piuttosto Siconolfo come legittimo Duca. Napoli e Capua si ribellarono al Ducato di Benevento anche per antichissime rivalità cogliendo occasione della crisi di potere per acquisire maggiore autonomia. Radelchi vide il grande ducato disfarsi nella guerra civile subendo anche assedio nella propria città, Benevento. Lo spargimento di sangue indeboliva talmente le fazioni in lotta che ricorsero a mercenari stranieri, anche i cosiddetti saraceni.I mercenari, chiamati per aiutare Radelchi nella lotta senza quartiere contro il pretendente, colsero occasione per prendere il potere a Bari. Il loro dominio sarebbe durato dall’847 all’871 con conseguenze anche fatali sul futuro del dominio longobardo sull’intera regione. La situazione si ripeterà anche con i normanni in circostanze diverse.

Il dominio longobardo ha lasciato pochi segni architettonici non sempre riconoscibili. Nella parlata pugliese sopravvivono alcuni termini della loro lingua. I dominatori, all’inizio, preferivano abitare in comunità separate con pochi contatti con le città soggette. Le popolazioni locali avevano perso diritti politici ma conservarono ampia autonomia nella sfera del diritto romano della società tardo imperiale. Le città sottoposte ai duchi beneficiarono dell’assenza dei romani d’oriente, detestati per la pesante tassazione imposta per finanziare continue guerre imperiali. I longobardi inoltre, dopo iniziali massacri delle fasi guerresche, smisero di perseguitare i cristiani e, all’inizio, continuarono a mantenere vive proprie forme di trascendenza nei propri insediamenti e castelli.

GABRIELE SUMA