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ott 22, 2012 - Notizie    11 Comments

La corazzata Leonardo Da Vinci

La corazzata Leonardo Da Vinci costruita nei cantieri Odero di Sestri Ponente, venne impostata il 18 luglio 1910 e varata nel 1911 entrando in servizio il 17 maggio 1914. Essa fece parte della Prima Squadra Navale costituita il 26 maggio 1916 e comandata dal vice ammiraglio Cutinelli Rendina. La Squadra Navale potè effettuare le sue missioni di controllo dello Stretto di Otranto e aveva come sede principale il porto di Taranto. Il porto era protetto dalla continua sorveglianza di una squadra di torpediniere e da due incrociatori ausiliari Città di Siracusa e Città di Catania. Inoltre erano presenti campi minati e ostruzioni presso S.Vito e canale navigabile e si manteneva un discreto servizio antiaereo ( supportato da numerose stazioni d’ascolto e favorito dalle rigide norme di oscuramento imposte sulla città ). La corazzata Leonardo da Vinci era stata ivi dislocata e, fino all’agosto 1916, non svolse alcun combattimento diretto pur essendo ritenuta al tempo una delle navi da battaglia più moderne della Regia Marina. L’armamento era costituito da 13 cannoni da 305/46 mm, 18 da 120/50 mm, 16 da 76/50 mm, 6 da 76/40 mm e 3 tubi lanciasiluri da 450 mm. Il 2 agosto la nave aveva imbarcato munizioni calibro 305 per la missione di prova tiro prevista per il giorno successivo. Durante la notte, alle 23 circa, venne segnalata fuoriuscita di fumo dai condotti di aereazione presso il boccaportello di un elevatore munizioni. Alla comparsa di scintille ebbe seguito immediato un incendio in una zona adiacente al deposito munizioni dello scafo. Il comandante della nave Sommi Picenardi ne fu subito informato ( dormiva nella nave con tutto il personale al completo ),non diede immediatamente l’ordine di evacuazione e stabilì di effettuare l’allagamento dei depositi poppieri e di compiere controlli nei locali inferiori della torre poppiera ( dove era stata rilevata la scia di fumo ) a costo di esporre uomini all’asfissia per mancanza di maschere protettive. Il fumo ormai aveva invaso completamente quasi tutti i locali adiacenti alla batteria poppiera e il calore era talmente forte da arroventare le lamiere separatorie e rendere impossibile ogni soccorso umano. Ad un certo momento le cariche della batteria brillarono e l’esplosione fu talmente violenta da provocare una fiammata da poppa a prua e la rottura dello scafo. Soltanto in quel momento si decise l’evacuazione che però non salvò 227 marinai e lo stesso comandante e una trentina di ufficiali su un personale di 1000 uomini. Il sinistro venne sottoposto al segreto militare per un mese e soltanto a settembre ne fu diffusa la notizia suscitando un collettivo moto di commozione. Il giornale di Taranto “Voce del Popolo” ne diede notizia 17 settembre 1916 anche se con diversi paragrafi cancellati dalla censura. La prima commissione venne creata per stabilire una approfondita indagine sullo scafo ormai semisommerso e rovesciato per confermare soprattutto collegamenti con le vicende occorse alla corazzata Benedetto Brin ( stessa sfortuna aveva colpito ,in diverse circostanze, le corazzate Regina Margherita e la russa Imperatrice Maria Luisa ). La corazzata Benedetto Brin aveva subito una violenta esplosione all’interno nel porto di Brindisi con numerosi feriti ricoverati poi a Taranto nel settembre 1915 ( la testimonianza più vivida è di Delia Jannelli del comitato Croce Rossa Italiana ). La Regina Margherita scomparve nella baia di Valona l’11 dicembre 1916 andando contro un campo minato. La corazzata russa  Imperatrice Maria Luisa era affondata nel porto di Sebastopoli in modo molto simile a quello avvenuto per la Leonardo da Vinci. L’incendio era stato segnalato al momento della sveglia dell’equipaggio che si e ritrovato a notare la fuoriuscita di fumo dalla torre prodiera. Nella Leonardo da Vinci ogni tentativo di fermare l’incendio fu inutile e tremende esplosioni sconquassarono lo scafo fino a squarciarlo definitivamente.  La prima commissione fu costituita dal Vice Ammiraglio Canevaro Augusto e Avallone Carlo e dal tenente del Genio Valsecchi Giuseppe. La Commissione inoltre ammetteva civili,deputati e senatori, come Augusto Righi e Angelo Battelli e infine tecnici qualificati come Salvatore Orlando e Edmondo Sanjust di Teulada. La commissione fu incaricata di sottoporre soprattutto il personale superstite della nave ad interrogatorio per avviso del Vice Ammiraglio Rendina. Il comandante della squadra navale aveva rilevato che un cuoco ( Benedetto Pugliese ) e un domestico per ufficiali ( Alberto Blasi ) provenivano dal personale della Benedetto Brin affondato l’anno prima e quindi potenziali sospetti secondo l’ipotesi di attentato terroristico. Inoltre si volle allargare l’indagine sul personale civile del porto e sulla città di Taranto in generale. La città, per la sua particolare posizione strategica,era diventata “piazzaforte in stato di resistenza” e dunque sottoposta ad un regime restrittivo per motivo di sicurezza che significava allora la subordinazione dell’amministrazione comunale al Comando della Regia Marina e al Dipartimento Marittimo. La militarizzazione comportava divieto di assembramento e associazione, coprifuoco notturno, permesso di soggiorno per non tarantini, chiusura o sospensione di servizi pubblici, oscuramento. La cosa che suscitò subito scandalo per i membri della commissione fu la scarsa cura della sicurezza nello stesso porto militare. Il Vice Ammiraglio Rendina stabilì nuove norme di servizio interno molto più ferree soltanto immediatamente dopo il sinistro in quanto risultò evidente il ruolo che avevano avuto noncuranza e imprudenza ( caricare munizioni costituite da miscele di cordite senza cartucciere adeguate secondo l’usanza inglese era la principale accusa per non parlare poi di errate valutazioni nelle prime e più delicate fasi dell’incendio ). Infatti le Nuove norme particolari di servizio interno richiamarono l’attenzione su materiali infiammabili compreso sigarette e fiammiferi e su personale civile imbarcato e imponevano particolare controllo dello stato di aerazione e temperatura dei locali per far sì che in tutte le altre cale non vi sia né petrolio,né benzina,né stoppa,né materiale di facile accensione e combustione.Inoltre, nonostante prendesse corpo l’accusa di attentato, il Vice Ammiraglio dispose la necessità di controllo assiduo sulle munizioni e locali. L’attenzione allo stato ambientale induce il sospetto che poteva essere utilizzato materiale non adeguato nello scafo e aggiunge anche la possibilità di presenza di sigarette anche se severamente proibite a bordo. Il Vice Ammiraglio, tuttavia, ha preferito insistere sulla pista dell’attentato per evitare di essere giudicato responsabile dello stato insufficiente di sicurezza dei porti e navi. La commissione iniziò ad esaminare gli interrogatori sul personale civile della Leonardo da Vinci poco giorni dopo l’affondamento della nave. I due principali sospettati, il cuoco Pugliesi e il domestico Blasi, erano inclusi nella lista ma non esistevano prove del loro coinvolgimento poiché erano presenti nelle operazioni di salvataggio della nave durante la tragica notte. Il sospetto, come si è detto, era solo nato pregiudizialmente dalla loro provenienza dall’altra nave affondata misteriosamente, la corazzata Brin. Le condizioni di mancata attenzione e negligenza certamente sono state favorevoli per ogni tipo di danno allo scafo e non sempre provocato soltanto da mano umana. Osservazioni interessanti possono escludere teoricamente dolo intenzionale e provengono dallo stesso fascicolo sulle indagini effettuate riguardo alla Leonardo preparato dallo stesso comandante della squadra navale Cutinelli Rendina :

Una delle questioni da stabilire, quando si vogliono discutere le diverse opinioni attendibili, è quella della qualità del fumo, nelle sue manifestazioni iniziali, e precisamente, in quelle precedenti al periodo in cui esse avevano senza dubbio origine nei depositi e comprendevano, fra l’altro, la rilevante fuor uscita di fiamme dall’evatore 10  e forse anche la prima fumata in coperta. Dall’insieme delle impressioni si può con sicurezza venire al convincimento che le prime manifestazioni di fumo non ritraevano la loro origine da combustione di esplosivi. Difatti la maggioranza delle persone che attesero direttamente all’incendio e, che per le loro qualità professionali possono ritenersi capaci di ponderato giudizio in merito, escludono tale ipotesi; e ciò malgrado l’insieme delle circostanze che avrebbe potuto indurle a ritenere l’incendio originato nel deposito munizioni. ( … )   e invero quest’esplosione imprecisata non ha bisogno di essere spontanea, ma facilmente può ritenersi prodotta dall’incendio sconosciuto e preesistente, dato che in qualcuno dei locali sottoponte protetto vi erano materiali suscettibili di accensione spontanea , combustibili di vario grado ed eventualmente esplodibili ( pittura, stracci,vaclite, residui,di benzina etc:vedi C 6 , C 7 ). Con un incendio in un locale adiacente ad un deposito munizioni, si possono avere arroventamenti più o meno estesi di paratie del deposito, e ciò tanto in relazione alla gravità assoluta dell’incendio, quanto alla durata dell’incendio stesso. In tal caso la presenza del coibente vale solo a ritardare la elevazione della temperatura del locale, ma non è da escludere la possibilità di lenta e parziale combustione del coibente stesso, anche senza produzione di fumo. Nell’ipotesi in esame, l’intervento della esplosione nella sede esterna del deposito avrebbe per effetto di fare cadere la massa pietrosa dell’isolante e liberarne la massa interna già in lenta combustione. L’incendio così trasmesso anche nel deposito, permetterebbe e spiegherebbe  fra l’altro, le manifestazioni di fumo nei condotti di ventilazione e quindi in coperta e la elevazione generale di temperatura nel locale, accusata dal segnale d’allarme. Ammesso quanto sopra, l’incendio seguirebbe il suo corso in maniera non accertabile, e con le limitazioni di effetti derivanti dall’allagamento crescente in misura non uniforme, per le condizioni locali. D’altra parte, dovendosi ritenere la refrigerazione in corso, si dovrebbe anche supporre che materiali infiammati, seguendo la corrente dell’aria, abbiano poi trasportato l’incendio al complesso dell’air-cooler. Tutto ciò non è in contraddizione con quanto si è potuto accertare

Dunque era accolta l’ipotesi di un incendio scaturito in un locale adiacente al deposito munizioni e causato da materiali facilmente infiammabili. Il testo ammette l’esistenza di elementi pericolosi e non tracce di esplosivo, artigianale o no,  e questo tipo di materiale, mai identificato con sicurezza, poteva essere qualunque cosa sfuggita al controllo compreso oggetti molto piccoli come sigarette o residui di benzina e quant’altro della vita quotidiana a bordo. Il documento, interessantissimo e poi rigettato dallo stesso comandante, che sostenne successivamente la comoda teoria dell’attentato, proseguiva con l’illustrazione di ipotesi di “santabarbara” stessa :La relazione riguardo allo stato delle munizioni negava assolutamente ogni difetto delle munizioni depositate per l’esercitazione che doveva svolgersi il giorno dopo la fatale notte della “santa barbara” della Leonardo. Il controllo però sullo stato non pare sia stato effettuato da nessuno degli ufficiali preposti al compito in quel giorno. Inoltre il personale, dopo aver depositato le munizioni nel locale, ha lasciato la nave subito dopo in ossequio ad una abitudine già denunciata ( posteriormente però ) nella infuocata lettera del Ministro della Marina. Infine erano aperti i portelloni di carico delle munizioni anche se erano protetti da cancelletti di ferro come era di consolidata tradizione marinara dell’epoca ( si applicava la norma nelle notti d’estate ). Inoltre continua ad essere interessante l’allegato stilato dal Vice Ammiraglio Rendina sui rischi inerenti i depositi munizioni come se già si fosse reso conto di qualcosa che determinò la tragedia sulla Leonardo :

1.o – il rivestimento coibente dei depositi delle munizioni, se imbevuto di nafta, brucia facilmente, con abbondante fiamma, a contatto di paratia arroventata. Lo strato di amianto non vale a proteggerlo perché esso pure, nelle condizioni di cui sopra, brucia come un lucignolo. E’ perciò della massima importanza sorvegliare le condizioni del coibente nelle paratie di depositi che sono a diretto contatto con casse di servizio di nafta,rinunziando addirittura a tener piene queste casse in porto o nelle ordinarie uscite delle Navi.

2.o – tubolature e pompe per nafta sono talvolta sistemate sui copertini superiori dei depositi munizioni e costituiscono un pericolo per le possibili infiltrazioni di nafta attraverso le pareti del deposito. Converrà esercitare la massima sorveglianza e possibilmente non impiegare tali pompe.

3.o – materiali combustibili raccolti abusivamente nello spazio anulare intorno al cassone degli elevatori potrebbero rendere più grave un principio d’incendio che, nelle ipotesi già considerate nelle norme “Norme di vigilanza interna”, si producesse per corto circuito nei contatti Forza o luce.

4.o – Il tentare di riattaccare i massimi prima di ricercare la causa dei loro scatto può alimentare la causa provocatrice di un incendio.

5.o – Materiali combustibili che si trovino nell’interponte tra il ponte corazzato ed il copertino parascheggie possono esser causa di incendio che si propaghi nelle camere di manipolazione  delle torri attraverso il foro ( normalmente chiuso da un portello ) di accesso dalle camere di manipolazione stesse all’interponte suddetto. I materiali combustibili di cui si tratta possono incendiarsi per i primi, inizialmente, per una causa qualsiasi, oppure per arroventamento della lamiera su cui sono depositati, per effetto di incendio comunque sviluppatosi in una sottostante cala. Un incendio sviluppatosi poi nell’interponte suddetto in corrispondenza non più di una camera di manipolazione, ma di una cella di deposito, potrebbe, per il foro d’uomo lasciato aperto, comunicare direttamente l’ignizione ai cartocci eri degli scaffali superiori.

6.o – Nelle garitte di aspirazione dei singoli ventilatori sboccano frequentemente condotti provenienti dai più disparati locali della Nave, cucine : pompe idrauliche, turbodinamo e infine intercapedini circondanti depositi di munizioni. Il pericolo è evidente ove si pensi che qualche foro aperto nelle paratie può facilmente permettere la comunicazione fra intercapedine che circonda il deposito ed il deposito stesso. Altre comunicazioni tra i depositi e i locali della nave, quali per esempio, possono aversi mediante elevatori di munizioni che presentino qualche foro o apertura in corrispondenza dei diversi locali.

 

Immediatamente dopo l’affondamento della nave come comprova sempre la relazione di Cutinelli Rendina in tempi non sospetti:

 

Per quanto nulla sia risultato a riguardo, non si può, nelle presenti contingenze di guerra, escludere in modo preciso ed assoluto la possibilità che causa prima dell’incendio possa essere stata il dolo, tanto più che l’unica ipotesi concordante con i fatti accertati è pur sempre involta di un atmosfera di dubbi per quanto ha tratto alla sua prima origine ( ipotesi A ). L’ipotesi del dolo ammette qualunque forma di intervento : assai improbabile devesi però ritenere quella di azione esterna allo scafo. Tra le forme interne, meno probabile è da ritenersi quella con azione diretta nei depositi, mentre possibile è da ritenersi quella con azione diretta nei depositi, mentre possibile appare la provocazione di un incendio in un locale esterno ai depositi e probabilmente in una forma che potesse prontamente interessare l’air-cooler. Non ho elementi sicuri che mi mettano in grado di esprimere opinione personale in merito ( la sottolineatura è mia – NdA ).

 

Dunque “Per quanto nulla sia risultato a riguardo” ! è evidente che già pochi giorni dopo il sinistro non sono stati trovati segni chiari di sabotaggio soprattutto per le condizioni della nave ormai interamente rovesciata e posata sul fondale. Inoltre un atto di sabotaggio doveva essere provocato con qualche elemento facilmente incendiabile da posare per un periodo relativamente lungo in prossimità dei depositi. Il tempo di prendere fuoco e creare calore sufficiente per scatenare le reazioni chimiche favorevoli per la “Santa Barbara” doveva costringere l’attentatore o gli attentatori a restare sul posto anche per parecchi minuti ( almeno per accertare l’efficace alimentazione della “miccia” ). La nave in quel momento aveva sì parte del personale a terra ma era pur sempre presente il resto dell’equipaggio a bordo. I rischi di fallimento potevano essere alti e solo la più assoluta conoscenza delle abitudini e della disciplina dell’equipaggio poteva garantire la lunga presenza degli agenti nemici a bordo. Ammesso che esistesse davvero un complotto o un piano ben architettato, stupisce come gli attentatori potessero infiltrarsi,trafficare l’ordigno e andarsene senza lasciare nemmeno una traccia ( nemmeno un marinaio confessò di essere stato corrotto da agenti nemici e nessun avvistamento di persone sospette nel porto anche in indagini successive nel tempo ). Certamente la disciplina era molto rilassata secondo l’osservazione di Del Bono ma mai tanto rilassata da non poter minimamente registrare o classificare o controllare persone in giro per la rada ( ed era notte e coprifuoco, dove era la polizia militare o la ronda ?!? ). La tesi di attentato comunque iniziò ad essere proposta nei mesi successivi al tragico agosto e già il 15 dicembre si era giunti nel ritenere inoppugnabile il caso di dolo pur in assenza di chiare prove dimostrative. L’elemento principale di accusa che comprovava la tesi di sabotaggio era essenzialmente l’assenza di disciplina e mancata applicazione di regolamenti in tempo di guerra.

L’affermazione, senza ombra di dubbio, di un attentato apparve nei testi ufficiali soltanto un anno dopo la vicenda e in conseguenza ad un ritrovamento presunto di documenti riguardanti i piani di sabotaggio della nave nel carteggio recuperato nell’ambasciata austriaca di Zurigo il 22 febbraio 1917. La notizia fu poi pubblicata direttamente al parlamento da parte della commissione che include però una curiosa contraddizione:

(… )

-                     Non si erano riconosciuti indizi sicuri di un imprudenza determinante da parte del personale di bordo ;

-                     La causa dell’incendio era certissimamente di natura dolosa ( la sottolineatura è mia – NdA ), attribuita al ben organizzato spionaggio austriaco ( e si citavano Giuseppe Lorese, già condannato a morte per gli attentati al dinamitificio di Cengio ed agli impianti idroelettrici di Terni, Ezechiele Stampi, già arrestato dal nostro controspionaggio, Giorgio Carpi, pluridisertore, Cesare Morlotti già arrestato e condannato dopo aver rivelato molti piani austriaci, ed altri dati recentemente acquisiti );

-                     L’organizzazione interna delle Piazze Marittime per quanto riguardava la sicurezza delle navi, degli stabilimenti militari e la repressione dello spionaggio non era conforme alle necessità di guerra;

-                     La polveriera di Buffoluto ( responsabile del munizionamento delle Navi principali della Piazza Marittima di Taranto – NdA ) non era adeguatamente organizzata e diretta per far fronte alle attività belliche;

-                     La conservazione delle munizioni nelle polveriere, il loro trasferimento sulle navi e l’immagazzinamento a bordo, come sino ad allora praticati erano sicuramente pericolosi ( qui si puntava il dito contro la competente Direzione del Ministero, palesemente ignava di fronte a tanto compito );

-                     Riconosciuta dolosa la natura dell’incendio sulla LEONARDO , vi erano gravi ragioni per ammettere anche per la BRIN ( affondata improvvisamente a Brindisi il 9.12.1915 per esplosione interna ) analoghe cause;

-                     L’ammiraglio Cutinelli Rendina aveva avuto piena ragione nell’indicare in “certe imperfezioni e certe manchevolezze dei nostri ordinamenti navali” la causa principale alla quale far risalire la responsabilità dei gravi disastri che la Marina aveva subito ( c’era un occhio anche alla REGINA MARGHERITA ) e per la quale disastri simili potevano avvenire in futuro ( La sottolineatura è mia – NdA );

-                     In sintesi, la Marina era entrata in guerra del tutto impreparata, e tale sarebbe rimasta se non si fossero presi drastici provvedimenti.

-                      

La relazione del Giugno 1917 per il Parlamento accoglie l’ipotesi di attentato ( senza prove materiali e il valore delle confessioni e rivelazioni di prigionieri non è ovviamente inoppugnabile ) con l’ammissione assoluta di cattiva gestione della sicurezza per le Navi. Inoltre la relazione definisce la causa principale lo stato delle Navi compreso la Leonardo, dunque non il sabotaggio la Causa ma piuttosto l’”effetto” di tale situazione. Il legame fra una causa ben studiata e verificata ( con i suoi limiti della particolare situazione in cui si trovò la corazzata sotto l’acqua ) e un effetto non automaticamente collegabile è il paradosso che emerge dalla relazione finale della Commissione d’inchiesta. Lo scopo della sopracitata ricerca da me effettuata ( ringraziando l’Archivio Storico della M.M di Roma ) non è quello di mettere in discussione la posizione finale assunta dalle istituzioni dello Stato in merito, sopratutto per mancanza di ulteriori prove documentate ma piuttosto di domandarsi quanto possiamo essere vulnerabili di fronte alle beffe del destino sotto forma di strumenti fatti dall’Uomo per gli uomini sia in pace che in guerra.

Viene anche spontanea la considerazione che si è trattato probabilmente di un tipico caso di manipolazione dell’informazione  circa eventi di rilevanza nazionale,più volte verificatosi nel nostro paese.

Della corazzata rimane tuttora, nella Villa Peripato di Taranto,il busto bronzeo di Leonardo da Vinci che guarda il mare con occhi malinconici.

GABRIELE SUMA