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set 29, 2013 - Notizie    5 Comments

Il Faro e l’Impero Britannico

Mahan Alfred Thayer è noto per i suoi studi sulla dinamica di egemonia mondiale da parte delle Talassocrazie fra cui in partticolare l’Impero Britannico e l’Impero Francese.  Nacque e visse ( 1840 – 1914 ) negli Stati Uniti  Il suo lavoro era essenzialmente basato sulla verifica di una grande teoria generale”Il controllo degli Stretti è contenimento continentale”.  Nello stile tipico della letteratura scientifica del ’800 , ridurre il particolare per delineare la generale struttura “logica” degli avvenimenti e fenomeni. Mahan si investiva del ruolo appunto di “scienziato” che analizza la complessità di un soggetto di ricerca ricavando di volta in volta i nessi fra gli avvenimenti e dati fino a costruire con il materiale raccolto la “diagnosi”( che semplifica il soggetto ad un “modello” astratto che possa essere base di sostegno alla tesi di partenza). La ricerca di Mahan infatti non si occupa della storiografia marittima dalla quale egli utilizza le fonti ma non il metodo e lo scopo, ma piuttosto della Grande Strategia, una branca di ricerca molto particolare che ha affinità con la Sociologia ( nel periodo di Mahan ai suoi primi passi ) e con il pensiero asiatico che,grazie alla prospettiva confuciana dello Stato come mezzo di felicità collettiva, si riprometteva di delineare con modelli astratti i doveri dei governi e regnanti. Infatti Mahan, volente o nolente, ha posto come condizione ottimale per la soppravivenza dello Stato, situato alle periferie di masse continentali, il controllo dei mari e specificamente il dominio di località geografiche di importanza strategica quali gli Stretti. Il concetto del controllo degli Stretti appartiene anche al diffuso determinismo geografico caro ai teorici a tutte le latitudini e ogni studioso ha di solito focalizzato l’attenzione su generali condizioni quali  il clima,l’orografia e dimensioni. Gli stretti diventano i cardini fondamentali del dominio marittimo indipendentemente da condizioni oggettive e tale argomento è supportato dalla considerazione di avvenimenti storici reali presi in esame ( la ricerca è focalizzata sopratutto sulla storia coloniale inglese e francese ) con presupposto che quanto più un risultato storico si “ripete” nelle sue forme generali ( avvenuto dominio di una potenza sulle altre ) quanto più è corretto fare di ciò un assioma astratto e valido in ogni circostanza. Dunque il controllo degli stretti  è stato in particolare un’ operazione mandata avanti,consapevolmente o no,dalla più grande Talassocrazia del tempo quale l’Impero Britannico. Uno dei simboli del dominio dei mari è rappresentato dai fari che aiutano le navi a seguire le rotte e le Isole Britanniche erano caratterizzate da aree di passaggio marittimo fra le più difficili che potessero affrontare le navi in tempi anche non lontani. Gli scogli sono paragonabili a mine esplosive per la capacità di dilaniare anche gli scafi più resistenti e l’Inghilterra era per lo più circondata da settori pieni di queste insidie unite alla frequenza di tempeste di grande potenza e coste frastagliate e ostili anche ai più veterani dei marinai . Condizioni climatiche che rendevano inespugnabile l’isola in periodi invernali  ma anche incubo per gli inglesi che basavano la loro forza nel collegamento con il mondo esterno e nelle vie commerciali marittime.  Le zone più pericolose si situavano  in particolare fra le isole Ebridi ( a ovest della Scozia ) e lungo le coste della cornovaglia a sud dell’Inghilterra. I fari hanno la caratteristica, in queste proibitive condizioni meteorologiche, di assumere forme quasi da fortezza militare con fondamenta colossali ma progettate per offrire  tuttavia  resistenza ai violentissimi venti del mare per non crollare e nello stesso tempo garantire la massima protezione a quello che più contava cioè la fonte luminosa stessa racchiusa in ingegnosi sistemi in gran parte basati come principi sui disegni di Fresnel vissuto a cavallo fra il ’700 e l’800.  I fari più importanti utilizzarono per tutto l’800  i “specchi” di Fresnel racchiusi e protetti nel mercurio liquido e realizzati per emettere fasci di luce a grandissime distanze a moto continuo senza praticamente alcun intervento umano oppure alternativi e più comuni sistemi di illuminazione alimentati costantemente con l’olio da parte degli operatori ( guardiani ) fino a quando sarebbero stati gradualmente sostituiti da sistemi elettrificati autonomi oppure da soluzioni chimiche più avanzate richiedenti ancora alimentazione periodica da parte di personale ( a base di gas di Xeno che per stimolo elettrico ingenera un potente fascio luminoso ).

I fari, come si è detto, hanno l’importantissima funzione di guidare le navi mantenendo ad esse le rotte prestabilite ,offrono la massima sicurezza sia al largo sia in prossimità di porti ed aree di attracco. Gli stati investono grandi risorse per stabilire queste postazioni nei luoghi anche più difficili a scopo di salvare vite e merci  . L’Impero Britannico era la Signora dei Mari per eccellenza. Gli inglesi,oltre alle navi da guerra e scali commerciali, lasciavano i loro segni di dominio anche con i fari in mezzo mondo quando allora il globo era appunto quasi per un terzo colorato di rosso sulle carte geografiche.  I fari dunque sono un simbolo di civiltà superiore e dominante come lo sono stati acquedotti e strade per Roma e le mura per la Cina.

L’esempio più interessante di faro come simbolo di una civiltà è quello di Bishop Rock. Esso è situato su una piattaforma piccolissima di scogli in mezzo al tempestoso mare dell’Oceano Atlantico e precisamente a ovest delle isole Scilly in una posizione strategica di enorme valore poichè è praticamente al centro di due aree marittime quali sono il Mare Celtico ( che separa Irlanda e Inghilterra ) e il celebre Canale della Manica. Il faro è stato costrouito su questi scogli disabitati e climaticamente ostili sopratutto per supportare il via vai delle navi che entravano ed uscivano per il Canale della Manica sopratutto in direzione di Londra per secoli meta di rotte commerciali dai quattro angoli di quello che fu l’esteso Impero Britannico. Le condizioni meteorologiche e l’insidie degli scogli di quest’area rendevano molto pericoloso infatti il transito delle navi quando ancora non c’erano ausili di avanzata tecnologia satellitare e dopo l’ennesima perdita non più solo di navi mercantili ma anche di un importante nave da guerra ( la Romney) . L’area non era priva di un faro ma quello installato sull’isola di S.Agnes era considerato inadeguato alle necessità.Nel 1707 si decise di usare come piattaforma di un nuovo faro una superficie scogliosa estremamente piccola ( appena 50 metri e largo poco più di 15 metri ) che era davvero una sfida per le tecniche ingegneristiche dell’epoca ( siamo ai primi del ’700 ). Infatti l’intento rimase sulla carta per quasi 150 anni .Nel1847  ufficialmente iniziò la progettazione e costruzione del faro inizialmente concepito per essere basato su strutture di ghisa invece della pietra ( inadatta contro la furia delle tempeste oceaniche ) . I lavori erano quasi terminati quando una tempesta di violenza imprevista nel 1850 distrusse la struttura fin quasi alle fondamenta.

La situazione avrebbe spinto popoli meno determinati a conquistare imperi a desistere  ma gli inglesi, come in tante altre situazioni, sfidarono la Natura come se  da questo  dipendesse la vita della loro Nazione. La potenza dell’ Union Jack si reggeva sopratutto sulla capacità di garantire sicurezza sui mari a tutti coloro che desideravano commerciare con gli inglesi. Rotte commerciali sicure erano anche fonte di prestigio politico e una delle condizioni per stabilire relazioni diplomatiche favorevoli e sviluppo economico a tutto vantaggio della potenza militare  simbolo di sicurezza e potere di un grande impero. Dunque il faro andava comunque costriuito nello stesso luogo contro ogni possibile ostacolo che la Natura potesse imporre. La sfida era stata accolta con un nuovo progetto non più basato sulla ghisa ma su un sistema in sostanza tradizionale per il materiale usato ( granito ) ma con un metodo molto più ardito:  in condizioni terribili, spostare tonnellate di granito su un punto del piccolo ammasso di scogli e pompare costantemente via acqua dal luogo di basamento in modo tale da impilare e collegare pesantissime sezioni tagliate e lavorate in Inghilterra. Si spostavano centinaia di tonnelate con il solo ausilio di navi in una zona marittima difficilissima e i lavori durarono sette lunghi anni impiegando risorse umane e finanziarie per l’epoca non da poco ( l’operazione costò 35000 sterline, una fortuna nel 1858 ) ma la Natura ebbe,ancora una volta la sua spietata rivincita ponendo fine al faro progettato dall’Ingegnere James Walker pochi anni dopo nel 1874 con un altra rovinosa e violentissima tempesta. La furia del mare fu tale che danneggiò una torre di 35 metri e 2000 tonnellate di granito.  La torre era soppravissuta all’uragano ma in condizioni tali da non poter essere in grado di operare in condizioni accettabili. La  battaglia degli inglesi contro Nettuno comunque non era ancora finita. L’Impero stava raggiungendo lo zenit della sua potenza e la necessità di un faro in quella zona era ancora più impellente di prima a causa di una rete commerciale via mare ormai sempre più intensa e complessa verso il cuore della Terra d’Albione. Dunque la Trinity House ( l’Ufficio generale per i fari  ) autorizzò il varo di un terzo progetto non meno ambizioso dei precedenti  con la firma di James Douglass che è stato praticamente il capo supervisore dei progetti di James Walker per il primo e secondo faro. Douglass seguì in linee generali il progetto del faro di granito ma aumentandone l’altezza e creando un doppio basamento sempre di granito e i lavori durarono dal 1881 al 1887. La torre era davvero un simbolo della,appunto, “granitica” volontà britannica di imporsi su Nettuno dominandolo con le catene per la sua altezza ( 44 metri ) , per il materiale utilizzato ( 5270 tonnelate di granito e bulloni di acciaio ) e per il costo pressochè doppio della torre precedente ( 60000 sterline circa ).

Il dato più impressionante è che questo progetto del 1881 è pressochè immutato ancora oggi ( 132 anni di vita ) con modifiche sostanziali solo per la piattaforma di atterraggio degli elicotteri realizzata ai primi del 2000 e per l’elettrificazione e automatizzazione degli impianti rispettivamente nel 1973 e 1991 che resero il sito oggi sostanzialmente disabitato come lo sono diventati dagli anni ’90 anche quasi tutti i fari nel mondo.

La vicenda simboleggia non solo la capacità dell’Uomo di modificare la Natura con la forza della mente e degli utensili ( la virtù dell’Homo Faber ), tra l’altro in piena epoca del Positivismo che proprio in quei anni esaltava tali capacità mediante la tecnica e la Scienza, ma anche la determinazione di un popolo unito da un comune senso di orgoglio che fa gli uomini facenti parte  consapevoli,nel loro piccolo, di contribuire alla soppravivenza del sistema a costo anche di sacrifici .”Sangue,sudore e lacrime” erano quello che  disse un certo Winston Leonard Spencer Churchill nel momento più buio dell’Isola che non era in quel momento minacciata da onde nere di Nettuno ma dalle minacciose ombre del Nazionalsocialismo. In quel frangente egli assunse il ruolo di faro nell’oscurità ,fatto di granito come la torre che ancora lanciava i suoi accecanti fasci luminosi nella fredda asperità rocciosa di Bishop Rock.

GABRIELE SUMA