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nov 30, 2013 - Notizie    10 Comments

Bruegel e la Guerra

Prendi posizione. La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima. Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato. – Elie Wiesel

Il capolavoro “Trionfo della Morte” di Bruegel il Vecchio fu terminato nel 1562. L’artista ha vissuto nel periodo più violento e sanguinoso della storia delle Fiandre, la Guerra di Indipendenza contro gli Asburgo che fra tregue e coinvolgimento anche di potenze straniere ( Francia e Inghilterra ) durò dal 1477 al 1648. Un conflitto micidiale che devastò una delle terre più ricche d’Europa per quasi 170 anni. La ricchezza prodotta dalle città fiamminghe era una delle voci più importanti del bilancio dell’Impero Asburgico impegnato in costosissime guerre contro la Francia e Inghilterra su fronti navali e terrestri su scala mai vista in passato. Carlo V ereditò Olanda e Belgio dal ramo dei borgognoni che si estinse dopo la morte repentina di Carlo il Temerario ultimo dei Duchi di uno stato fino a quel momento indipendente e grande potenza. Le sorti della ex-Borgogna si unirono a quelle degli Asburgo di Austria che acquisirono pure la corona spagnola per la cessazione della linea dinastica maschile dei Trastamara. Il Re di Spagna e Duca di Borgogna e Arciduca dell’Austria fu eletto Imperatore e in tal guisa le province borgognone furono inglobate nel sistema federale dell’Impero ma con un grado di autonomia più ridotto rispetto agli altri principati per la caratteristica di essere dominio di famiglia dell’Imperatore. Carlo V era nato a Gand una delle città più importanti del Ducato di Borgogna. Quindi gli Asburgo consideravano loro diritto legittimo il governo diretto e di proprietà personale dell’Imperatore in quanto legittimo successore. Le città fiamminghe erano fra le più ricche d’Europa grazie ad un’articolata rete commerciale sia marittima che fluviale da più di trecento anni grazie allo sviluppo notevole per qualità e scala di manifattura,coltivazioni e produzione culturale ed artistica. L’intensa attività commerciale permetteva una rapidissima crescita delle città e di conseguenza maggiore gettito fiscale e forza lavoro per sistemi produttivi di vario genere e si ebbero anche,per un periodo relativamente lungo, capacità militari non trascurabili sopratutto durante la Guerra dei Cent’Anni. Il valore economico era tale che fin da subito le città fiamminghe contribuirono a finanziare le sempre più ingenti spese militari affrontate dall’impero asburgico in guerra con la Francia per decenni. Carlo V, nel tentativo di restaurare l’antico sogno di impero universale, combattè contro Francesco I di Francia spesso in Italia ma anche nel Mediterraneo dove si svolsero anche costose imprese contro il principale alleato dei Valois quale l’impero ottomano e i pirati della Tunisia. Nel XVI secolo le guerre prosciugavano rapidamente le casse anche di grandi potenze per gli elevati costi determinati dalla svalutazione monetaria, dall’uso sistematico del credito e del debito e dall’impiego prevalente di mercenari ma anche sopratutto dalla corruzione del sistema delle commesse di materiale militare che arricchiva gli imprenditori e ufficiali collusi più spregiudicati a danno degli eserciti stessi che, a causa delle ruberie e truffe, finivano per essere mal pagati e mal equipaggiati. Il caos organizzativo del sistema logistico provocava continue diserzioni, forme di indisciplina e rappresaglie e saccheggi a danno dei luoghi anche di appartenenza del signore che aveva “noleggiato” l’esercito mercenario. Disordini che erano dunque molto frequenti e vissuti da intere generazioni compresa quella di Bruegel anche forse solo indirettamente. L’arte ha lo scopo di trasfigurare il reale e metabolizzare paure e sentimenti di un epoca sotto forma di rappresentazioni. L’arte fiamminga esaltava la classe borghese e le città ma anche le sofferenze e gli incubi dei più sfortunati e nel contempo faceva passare sotto la superficie di un mondo senza cavalieri ed eserciti l’inquietudine per gli anni di ferro sotto forma di immagini apocalittiche apparentemente prive di attualità politica e riferimenti storici. Gli artisti erano in massima parte impiegati dalle corti reali o nobiliari o comunque pagati da committenti di rilievo sociale non indifferente e ovviamente si guardavano bene da inserire prospettive personali su specifiche persone ma spesso erano pagati apposta per ritrarre delle persone che guadagnavano prestigio oppure ne facevano come una sorta di ex-voto di penitenza ( quando si tratta di opere destinate a sedi religiose costruite o ampliate con i contributi del committente ). Gli artisti erano, talvolta, anche pagati per realizzare opere che potessero impressionare o stupire e in questo caso potevano avere quel sufficiente margine di autonomia per creare immagini di impatto propagandistico tale da suscitare pensieri ed emozioni che i committenti indendevano stimolare. Le emozioni che si dovevano suscitare potevano essere la paura e il terrore anche se più per l’anima che per il corpo poichè il pubblico, popolare o “qualificato”, non era particolarmente disturbato da immagini di violenza fisica che nella vita quotidiana dovevano essere molto frequenti. La violenza rappresentata doveva essere percepita come parte dell’ordine delle cose e dunque non si esprimeva il disgusto o il disprezzo ma neppure il compiacimento e la glorificazione delle rappresentazioni del nostro secolo. L’assenza di ideologie di massa permetteva di esporre la violenza come un elemento del disegno divino del quale l’Uomo non poteva arrogarsi per mutare un assetto o un equilibrio. Inoltre la violenza, essendo strumento divino, era davvero “ignorante” di appartenenze sociali. Nelle rappresentazioni apocalittiche tutti erano coinvolti e immersi nella violenza e travolti in netto contrasto con l’arte del nostro secolo in cui la violenza lo si esercita solo sulla parte avversa o, in termini negativi per chi la esercita, “glorificando” la vittima.
In tal guisa il Trionfo della Morte rappresenta la violenza, così quotidiana e così onnipresente, senza carnefici e vittime dotate di propria volontà e nello stesso tempo il grandioso e tragico affresco della sua terra martoriata dagli orrori della guerra lasciando sospeso ogni giudizio politico. L’opera apre allo sguardo il sinistro orizzonte di città in fiamme quasi come profetica visione dei carboni ardenti delle metropoli del XX secolo e gli occhi si posano inevitabilmente,come guidati, attraverso desolate terre dove l’opera dell’uomo è annientata o piegata agli strumenti di morte e tortura ( forche e ruote )fino alla visione di scene di rastrellamento e massacri indiscriminati. La grandezza di questa visione sta nella sua dimensione profetica e contemporaneamente testimone delle sofferenze della sua terra. Le esecuzioni, dstruzioni di città,decapitazioni,rastrellamenti e lugubri passaggi di bare e sacerdoti stavano avvenendo realmente su scala progressivamente più ampia da parte degli eserciti asburgici nel tentativo di imporre ai fiamminghi i diritti imperiali. Bruegel, non avrà vissuto direttamente l’esperienza, ma la visione, così vivida, era frutto di quello che percepiva all’esterno specie nelle campagne le più esposte e vulnerabili alle angherie dei soldati. Le repressioni su vasta scala si estesero pochi anni dopo il completamento del dipinto con il massacro di migliaia di ribelli a Bruxelles da parte dei soldati del Duca di Alba dando inizio ad una guerra che sarebbe durata ben oltre la vita di Bruegel. In Trionfo della Morte gli scheletri, spietati e metodici, dovevano essere visti agli occhi degli spettatori fiamminghi come i soldati imperiali con effetto di suscitare,oltre all’orrore per la propria anima e per i peccati e l’inevitabilità della Fine dei Tempi, sentimenti contrastanti ( ben rappresentata dal contrasto netto fra il distaccato atteggiamento della coppia di giovani più attenti alle note del liuto dalla pronta reazione invece di un altro giovane intento a sfoderare la spada ).
Le immagini descrivono violenze e angherie con grande realismo come il cavallo che travolge una donna inerme a terra, uno scheletro che afferra un altra donna che fugge, altri che gettano reti per catturare e altri ancora che spingono gli esseri umani con armi in mano all’interno di qualcosa mentre tamburi rullano e cortei suonano trombe e innalzano forche. Sequenze di scene che sotto forma di metafora biblica dell’apocalisse rappresentano i rastrellamenti di civili ed esecuzioni di prigionieri e maltrattamenti sugli inermi compiuti da esercito vittorioso e repressivo.

L’affresco diventa così pregnante di valore universale e dunque capolavoro dell’Arte perchè supera la contingenza del tempo per divenire simbolo della brutalità della guerra come, a mio parere personale,una sorta di Guernica di Picasso o il 2 maggio 1808 di Goya. I civili di qualsiasi fazione in lotta saranno sempre vittime di uomini che con le armi vengono meno ad ogni forma di rispetto per la dignità umana.
Dignità umana sempre calpestata quando le circostanze fanno sì che la natura umana, di per sè spietata, si spoglia di quei sentimenti che solo l’Uomo aveva sviluppato quale la pietà e la misericodia.

GABRIELE SUMA.