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ago 4, 2018 - Notizie    4 Comments

Anabasi Britannica

Le guerre in corso rimandano alla memoria l’epoca dell’imperialismo ottocentesco. Le regioni interessate da conflitti, tra l’altro, corrispondono alle aree colpite da simili calamità. Le devastazioni e le sofferenze subite dalla popolazione civile si ripetono ciclicamente per ragioni di strategie geopolitiche non mutate in sostanza dai tempi della “Great Game” del XIX secolo. Gli obiettivi sono cambiati nella natura ( forme di energie e passaggi commerciali invece di territorio ed influenza ) ma le modalità in cui operano gli “attori” ( le potenze coinvolte ) sono ancora le stesse. Gli USA agiscono perseguendo l’obiettivo di conquistare e conservare il controllo della “periferia” della grande massa continentale euroasiatica secondo la famosa dottrina di Halford Mackinder che aveva studiato proprio la storia delle guerre imperiali combattute dalla Gran Bretagna negli anni di maggiore apogeo dell’età vittoriana del XIX secolo.

Il geniale geografo di Sua Maestà ( Edoardo VII all’epoca della pubblicazione dei lavori di Mackinder nel 1904-1905 ) aveva intuito che una Talassocrazia, all’epoca UK e oggi USA, doveva impedire il controllo dell’Eurasia da parte di una sola potenza con tutti i mezzi,diplomatici e militari, mirati sopratutto a quello che l’autore riteneva i “margini” della massa continentale. I territori “contesi” corrispondevano, e corrispondono mirabilmente tuttora, ad una fascia territoriale relaticvamente vasta e generica denominata “Rimland” dal Mar Baltico allo Stretto di Bering. Il Rimland era intesa come un area di competizione caratterizzata da logiche di “gioco a somma zero” per contrastare una potenza dominante la cosidetta Heartland facilmente identificabile, all’epoca e ancora oggi, nella Russia.

La percezione della Russia come minaccia agli interessi globali è stata una delle motivazioni che spinsero l’Impero Britannico a trascurare le complessità storiche e culturali di vaste aree non comprensibili all’ottica degli occidentali. La “guerra fredda” contro la Russia ha radici lontanissime e combattuta variabimente da ogni grande potenza nel corso dei secoli ma inaugurata ufficialmente con la Guerra di Crimea nel 1853. La Gran Bretagna ha combattuto Napoleone per impedire di “buttare via la mappa dell’Europa” ed era ancora determinata a fare lo stesso con la Russia uscita come grande potenza proprio per il suo ruolo decisivo contro l’aquila francese.

Tale contesto fu la premessa del peggior disastro mai subito dall’Impero Brtannico all’apogeo della sua potenza.

L’Afghanistan, la Tomba degli Imperi, era oggetto di grandi attenzioni da parte della Gran Bretagna per la sua posizione geografica nel generale contesto geopolitico in atto nei primi anni ’30 del XIX secolo. L’Impero Russo, governato con energia e tenacia da Alessandro II, aveva, da alcuni anni prima, strappato vasti territori alla Persia. La dinastia persiana Qajar, a sua volta, fece guerra al confinante Afghanistan per compensare le perdite territoriali subite. L’Inghilterra ebbe, in quel momento, seriamente timore di vedere direttamente minacciati i domini estesi su buona parte dell’India settentrionale.

Londra spedì, come plenipotenziario e rappresentante del governo George Eden Auckland alla Compagnia delle Indie che amministrava, in nome della Corona, vasti territori del Subcontinente. Egli subito mobilitò ogni risorsa per cercare di allineare l’Afghanistan alla parte britannica. Intensa attività diplomatica fu la conseguenza di nuove e sempre più estese incursioni persiane. L’area era governata da numerosi clan tribali spesso più in lotta fra loro che contro invasori stranieri. Nel periodo in questione ( 1838 ) la formale capitale,Kabul, era sotto il dominio del clan Barukzai che aveva espulso dal trono il sovrano Mahmoud dei Saduzai dopo poco tempo dalla sua salita al trono cacciando a sua volta il fratello minore Shuja Ul-Mulk.

La fragilità del potere centrale favoriva l’intraprendenza persiana spingendo i britannici ad entrare in azione decidendo di sostenere Shuja nella riconquista del trono perduto. Il comandante in capo dell’Esercito Sir Henry Fane espresse forte opposizione al piano di Auckland ma propose di rafforzare le forze destinate a supportare la spedizione come necessaria condizione per il successo. Il Governo di Sua Maestà, la giovane regina Vittoria, mise a disposizione ingenti forze fra fanteria e cavalleria in gran parte truppe indigene sipahi di Bombay e Bengala.

Il governatore di Bombay Mountstuart Elphinstone nutriva forti perplessità sulle possibilità di successo cercando di far notare le tremende difficoltà logistiche per una forza di spedizione di simili dimensioni in un territorio aspro e ostile quale era l’Afghanistan. Il governo fece orecchie di mercante alle ripetute rimostranze autorizzando il proseguimento della missione. L’obiettivo era reinstallare come “fantoccio” il pretendente legittimo senza alcuna prospettiva di lungo periodo poiché Londra prevedeva il ritiro della spedizione sottovalutando o trascurando le reali caratteristiche dello scenario. Una classica situazione di operazioni fatte a tavolino senza alcuna diretta conoscenza del luogo con obiettivi irrealistici e spesso di breve termine per immediati vantaggi del potere politico del momento.

L’armata di spedizione completò i preparativi in meno di un anno per procedere all’invasione dell’Afghanistan il 10 marzo 1839 attraverso il Passo di Bolan, unico ingresso possibile per un esercito proveniente dal Subcontinente indiano. Sir Alexander Burnes, uno dei più famosi agenti dei servizi britannici dell’epoca, accompagnava l’armata per prendere contatti con le varie tribù locali per facilitare la marcia verso la capitale,Kabul.

La situazione divenne fin da subito un incubo per l’insufficiente organizzazione logistica e moltissimi bagagli dovettero essere abbandonati mentre molti soldati iniziavano a subire gravi sintomi psicofisici per la penuria di cibo e acqua. Gli alleati afghani suggerivano di razziare la regione per requisire le razioni ma gli inglesi opposero un secco rifiuto. Kandahar era un insediamento fortificato che si trovava a metà strada per Kabul ma la guarnigione lo abbandonò permettendo agli esausti sudditi di Sua Maestà di recuperare le forze.

La popolazione locale accolse freddamente l’armata e il “fantoccio” Shuja era particolarmente inviso. Gli inglesi, ridotti allo stremo, decisero di sospendere ogni operazione per ripristinare le scorte. La marcia fu ripresa il 29 giugno con l’intento di raggiungere Kabul prima dell’arrivo dell’inverno.

Durante la marcia la cittadella fortificata di Ghazni oppose una strenua resistenza subendo terribili massacri da parte delle spietate truppe indiane e afghane della Regina. La caduta di Ghazni provocò divisioni fra le tribù fedeli a Kabul che divenne, di conseguenza,“città aperta” per i vincitori.

Le truppe britanniche entrarono a Kabul il 6 agosto installando sul trono Shuja con l’intento di ritornare indietro “a casa”. Il governo di Londra sottovalutò la complessità politica del regno afghano e non si rese conto bene della scarsa popolarità del regime “fantoccio” mentre La regina Vittoria era distratta da scandali interni nella sua corte ( Hastings Affair ).

Il Primo Ministro William Lamb Melbourne diede,inoltre, le dimissioni per una crisi di governo lasciando irrisolta la questione afghana dopo un promettente inizio.

Gli inglesi, mentre si svolgeva il dramma a Londra, installarono una nutrita guarnigione in un’area indifendibile di Kabul trascurando le più elementari necessità di sicurezza nel prospetto dell’imminente ritiro in India. Il contendente Dost Mohamed, fuggito da Kabul, venne catturato ed esiliato mentre il primogenito Akbar Khan riuscì a sfuggire per nascondersi e riorganizzare la rivolta contro il fantoccio Shuja.

Dopo due anni di occupazione, si moltiplicarono le scaramucce e gli attacchi alle carovane impegnando senza pause le truppe di Sua Maestà sotto il nuovo comando del vecchio ma combattivo maggiore generale William Elphinstone. Il comandante conosceva il cattivo stato in cui si trovava la guarnigione ma i suoi superiori fecero orecchie di mercante nonostante l’evidenza del problema. Il nuovo governo, Sir Robert Peel, si era quasi dimenticato della questione afghana.

La situazione precipitò quando il governo inglese si rifiutò di continuare a pagare una tribù che controllava il vitale Passo di Khyber che permetteva il passaggio più facile per l’India. La guarnigione di Sua Maestà tentò di mantenere aperta la via con la forza senza successo.

La disfatta accelerò la crisi a Kabul dove esplose la rivolta il 2 novembre 1841 in seguito ad incidenti diplomatici con un altra importante tribù. La guarnigione si trovò ad essere assediata senza adeguati rifornimenti per resistere a lungo. I tentativi di forzare il blocco fallivano anche con esiti cruenti. I vertici militari disposero il divieto di abbandono della posizione di Kabul in presunzione di tempestivo arrivo di rinforzi. La situazione si fece insostenibile quando i ribelli attaccarono i depositi della guarnigione presenti nella località di Behmaru.

Il disastro comportò la riapertura dei negoziati proprio nell’incombere del terribile inverno afghano. La situazione era insostenibile per il gran numero di feriti e civili da evacuare senza adeguati mezzi in pieno territorio ostile. Akbar Khan, il vincitore sul campo, impose dure condizioni di resa alla guarnigione sotto assedio. Elphinstone inviò come inviato William Hay Macnaghten, intermediario politico nella gerarchia militare, che fu tuttavia ucciso dai ribelli durante un maldestro tentativo di fuga. La morte di Macnaghten segnò forti divisioni fra le autorità politiche e militari ma l’autorità di Elphinstone era ancora forte per impedire pericolose avventure in un momento di forte emotività.

I negoziati si prolungarono stancamente fino a capodanno del 1842 quando le autorità inglesi accettarono di pagare un tributo per garantirsi un passaggio di ritirata generale per il territorio imperiale del Peshawar. L’Afghanistan, in inverno, diventa un inferno di ghiacci e neve ed è stato così anche allora nelle gelide giornate del gennaio del 1842. Gli inglesi iniziarono a “fare i bagagli” senza ascolare le rimostranze del proprio decaduto fantoccio Shah Shuja. Le truppe, stanche e demoralizzate, erano solo in parte cittadini britannici. La maggior parte era costituita da indiani della Compagnia delle Indie e delle milizie di Shuja. La carovana era accompagnata anche da un numero significativo di civili compreso europei di ambo i sessi che decisero di abbandonare Kabul.

Akbar Khan aveva garantito il libero passaggio sulla parola ma la carovana subì continui attacchi da parte di gruppi di afghani a cavallo soffrendo perdite sopratutto di provviste e materiali indispensabili per l’estenuante marcia. Il gelo e l’asperità del terreno misero a dura prova uomini e donne per lunghi interminabili giorni. Elphinstone non poteva far nulla per impedire il collasso della disciplina e della coesione dei ranghi e le diserzioni si moltiplicarono mentre si perdevano per la strada equipaggiamenti e armi di ogni genere. Akbar Khan, consapevole delle orribili condizioni, aveva offerto aiuti in cambio della ritirata di truppe inglesi in stanza a Jelalabad vicino alla frontiera. Elphinstone oppose un secco rifiuto nonostante il disastroso stato ma acconsentì di inviare come ostaggi alcuni ufficiali.

I negoziati non impedirono alle tribù locali di effettuare altre azioni di disturbo coinvolgendo parte dei civili che subì la cattura. I feriti aumentarono senza che fosse dato loro necessaria assistenza medica e le provviste erano quasi esaurite. Il momento peggiore avvenne nel momento del passaggio, duramente contrastato, attraverso il Passo di Khurd-Khyber sulla strada verso la salvezza in territorio, sotto occupazione britannica, di Jalalabad.

Akbar Khan intervenne per fermare il massacro offrendo di ricevere graziosamente come ostaggi gli europei civili, in particolare donne e bambini, con la promessa di restituzione in territorio inglese. Le tribù locali non cessarono i loro attacchi nonostante la grazia del sovrano ma i civili europei si salvarono grazie agli accordi fatti. Le truppe indiane erano più soggette agli attacchi e la loro cattura spesso culminava con conversioni forzate o esecuzioni capitali.

Dopo dieci terribili giorni di autentica anabasi Elphinstone accettò un colloquio con Akbar ma la colonna si mosse nella presunzione di cattura del loro comandante. I resti della spedizione si divisero per attraversare strade diverse in direzione Jalalabad. Una parte di essi fu completamente sterminata nella valle di Neemlah mentre il secondo gruppo subì un attacco di sorpresa da apparenti “amici” locali presso Fatiabad. I superstiti , neppure una dozzina, fuggirono a galoppo disperato raggiungendo Jalalabad seminando gli inseguitori fortunatamente non armati con fucili in quel frangente.

La spedizione, partita con 4500 uomini e più di 12000 civili era stata quasi completamente annientata in meno di dieci giorni di autentico inferno.

Nonostante le pressanti richieste della giovane Regina Vittoria di vendicare l’affronto subito, il governo, responsabile per intero del disastro, rinunciò ad ogni ulteriore operazione fino all’occasione che si presenterà, decenni dopo, nel 1878.

Il “vietnam” inglese dovrebbe essere per noi monito per le conseguenze nefaste di ogni piano politico a breve termine trascurando le particolarità delle aree interessate e il fattore umano,culturale e religioso delle popolazioni coinvolte. I disastri in corso nel Medio Oriente sono l’esatta ripetizione degli errori del passato. Le classi dirigenti occidentali, interessate a guadagni immediati e ad esiti elettorali, hanno tentato di ridisegnare i delicati equilibri etnici e politici degli “stati” emersi con colpi di penna su carte geografiche.

La guerra civile in Siria è culminata con la, poco raccontata dai media occidentali, fuga di numerosi civili che erano stati, per anni, finanziati dai governi occidentali, in primis gli USA, per ribellarsi alla brutale dittatura di Assad. Il Presidente degli Stati Uniti, Trump, ha completamente stravolto la situazione con la constatazione che la “partita era persa” e con il taglio di fondi accelerando la crisi dei sostenitori che ora sono in ritirata precipitosa verso il territorio “amico” di Israele e Giordania ( in minore misura ).

La situazione odierna sembra rievocare quella lontana e dimenticata cronaca del 1842 ma Occidente continua ancora a non fare tesoro delle lezioni della Storia.

GABRIELE SUMA