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nov 2, 2022 - Notizie    2 Comments

Il grido di dolore

La guerra ci sconvolge e ci domandiamo: perché questo ?

Lo “zar” della Grande Russia, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin espresse una sua spiegazione, nel discorso di apertura delle ostilità tenuto il 24 febbraio, accusando Lenin di aver “inventato” al tempo la Repubblica Sovietica dell’Ucraina con annesse le province di frontiera imperiali del XVIII secolo, oggi note con la vecchia denominazione di Novorossiya.

Espressione geografica rimasta fino a dopo le guerre napoleoniche; grossomodo intesa come provincia di frontiera ( in europa occidentale assimilabile alle “marche” ) dopo le conquiste di territorio della antica Orda d’Oro mongola.

Mosca attualmente si ritiene in guerra invocando un passato di presunta unicità culturale negando esistenza della nazione ucraina.

Le origini storiche dello stato ucraino e del mito della Grande Russia si ritrovano nelle fondamenta della città di Kyiv ( Kiev in lingua russa ) sorta nel IX secolo d.C come centro della cosidetta “Rus”: il primo regno slavo cristianizzato tramite legami dinastici e conversioni di massa ( per ordine del sovrano ) da parte dell’impero bizantino, la “seconda Roma” del mondo ortodosso.

Il regno di Kiev scomparve dopo due secoli, per la conquista prima da parte dei mongoli, poi in seguito dei lituani. La dominazione straniera non impedì la costituzione di un distintivo corpo militare e socioculturale: i cosacchi del Dnepr.

I cosacchi entrarono in seguito nel dominio russo con gli accordi del 1654 in cambio di protezione ed autonomia che i Romanov nel 1667 non garantirono più, avendo ceduto parte di quei territori ai polacchi.

In quel frangente i cosacchi si riunirono allora dando vita nel 1710 ad una prima carta costituzionale nota come la costituzione di Philip Orlyk che fu uno dei capi di questa alleanza, utilizzata come una delle basi dell’identità nazionale ucraina.

I cosacchi infine si ribellarono ai russi supportando gli svedesi di Carlo XII durante la lunga grande guerra del nord ( 1700 – 1721 ). In seguito alla disfatta, lo Zar Pietro il Grande, vincitore di Poltava, proibì ogni forma di produzione di testi in lingua ucraina ed impose russificazione forzata nel territorio.

Sotto la dura dominazione imperiale, gli ucraini erano stati registrati in un censimento imperiale del 1897 come poco più di venti milioni, il 18% dei sudditi in tutto l’impero. Il territorio costituiva però in termini di risorse circa il 70% di carbone, ghisa, ferro, acciaio oltre ad essere stato per secoli il granaio dell’Europa.

La popolazione urbana era solo il 15% sull’intera popolazione e le città erano soggette ai dominatori russi.

La minoranza demografica russa era influente infatti, non solo per superiore rango sociale e controllo politico ma pure come forza lavoro mineraria al servizio di proprietari russi delle attività industriali più importanti.

I polacchi dominavano invece la campagna come proprietari terrieri per i quali prestavano servizio i contadini invece quasi tutti ucraini.

Il sentimento nazionale ucraino era portato avanti quindi da pochi ma combattivi intellettuali fra cui Taras Sevcenko e Nikolay Kostomarov che diedero vita alla Confraternita di Cirillo e Metodio fieramente combattuta a lungo dal regime zarista.

Mosca imbastì anche sul piano religioso una lotta, contro la federazione di chiese di rito orientale ( Uniate ). Lo Zar Nicola I impose la fusione di essa nella Chiesa Ortodossa fedelissima alla dinastia.

Si susseguirono nuovi altri decreti imperiali contro la lingua ucraina fino a quando, per la sconfitta nella guerra russo-giapponese nel 1905, era stata consentita apertura di primi circoli letterari in lingua ucraina.

Lo sviluppo socioeconomico dei primi del secolo infatti stava favorendo la nascita del partito socialdemocratico ucraino, promotore di un primo programma di indipendenza. La dura repressione finale del regime zarista tuttavia interruppe il breve esperimento politico sul nascere, ma le basi ideologiche restavano ormai mature per futuri sviluppi.

Il disastro della guerra russo-giapponese indebolì moltissimo l’impero russo ma la classe dirigente non comprese la situazione critica, nota soltanto a chi avesse visto l’abisso con i propri occhi come il monaco senza odor di santità ma acuto come pochi in quel momento: Rasputin.

Egli si era guadagnato la completa attenzione dell’imperatrice per il figlio affetto di emofilia ma pure l’ostilità della diffidente corte imperiale. L’ostilità del Palazzo si accrebbe quando l’impudente consigliere espresse opinione di non far coinvolgere l’impero in un altra guerra, ritenuta invece da molti altri come grande opportunità di prestigio.

La coppia imperiale, ormai lontana dalla realtà, prestò poca attenzione al consiglio lasciando che l’impero si facesse trascinare nel più distruttivo conflitto che l’umanità avesse mai conosciuto.

Le vicissitudini belliche accelerarono la crisi socioeconomica fino al collasso dell’impero, e non solo quello di tutte le russie.

Nel 1 novembre 1918 difatti Leopoli, provincia di forte etnia ucraina dell’impero austro-ungarico dichiarò la secessione creando una repubblica, in armonia con quanto era stato scritto nel proclama del granduca Nicola, vincitore della unica grande vittoria dell’impero russo in Galizia, sulla autodeterminazione dei popoli slavi.

Gli ucraini ex sudditi dei Romanov, frattanto, nutrivano invece molta fiducia nei confronti dei bolscevichi che sembravano fossero disponibili sulla questione delle nazionalità per distinguersi dal regime imperiale da poco abbattuto.

Il partito socialdemocratico ucraino, unico movimento di una certa rilevanza in paese, aveva messo da parte propositi di indipendenza per la più ampia autonomia. Il leader più accreditato,il professor Michail Hrusevski, diede inizio ai lavori per l’assemblea nazionale per avanzare quelle proposte a Mosca da poco divenuta capitale del potere bolscevico ancora in quel momento non organizzato in forma di Unione Sovietica. La mancata risposta moscovita deluse profondamente l’assemblea provvisoria di Kyiv, che, con il Primo Proclama mandato avanti dal principale promotore Volodymyr Vinnicenko padre del futuro parlamento ucraino, si organizzò allora in istituto parlamentare rappresentativo con pieni poteri su tutto il territorio con il nome di Rada tuttora esistente.

La Rada tentò comunque di sollecitare ancora una volta dai bolscevichi il riconoscimento di autonomia, nel contesto di una federazione. A motivo della persistente opposizione moscovita, la Rada autorizzò l’istituzione della repubblica aprendo un nuovo corso della storia per la nazione.

I bolscevichi moscoviti risposero istituendo con la forza la repubblica dei soviet dell’Ucraina con base a Charkiv in opposto alla repubblica di Kyiv. Il colpo di mano fu un successo immediato ma i bolscevichi dovettero poi ritirarsi in seguito alle condizioni di pace con gli imperi centrali. Durante la breve occupazione tedesca emerse un nuovo regime che, abbattendo la repubblica popolare, gli prese il posto come dittatura conosciuta come Etmanato.

Il nuovo regime era duramente anticontadino ed ottuso, favorendo così i bolscevichi ucraini fino ad allora rimasti ai margini. Il famigerato regime durò appena un mese, crollando come un castello di carte al ritiro dei tedeschi alla fine della Grande Guerra.

Il rovesciamento occorso era stato promosso da Vinnicenko ritornato a capo del Direttorio socialdemocratico, scontrandosi subito sia con i vecchi nemici quali i bolscevichi sia con altri socialisti poiché ai contadini non erano stati restituiti ancora i terreni requisiti dall’Etmanato. I socialdemoratici persero allora sostegno popolare segnando il declino della repubblica diventata campo di battaglia di una nuova guerra civile.

I contadini, iniziali sostenitori dei bolscevichi, insorsero stavolta contro di loro per le requisizioni di grano e altre misure di guerra mentre i bianchi del generale Ivanovic Denikin, di suo tutt’altro che favorevole alla indipendenza ucraina, entravano in scena.

Si scatenò alla fine il caos generale in cui i rossi, i bianchi, contadini e socialisti ucraini si combatterono a vicenda senza quartiere insanguinando la nazione.

Si fece protagonista delle grandi lotte contadine l’anarchico Nestor Machno che combatté vigorosamente tutti gli altri cambiando alleati a seconda delle circostanze.

Le lotte intestine però favorirono i bolscevichi riguadagnandosi l’appoggio dei contadini con un audace riforma agraria. L’intervento successivo della Polonia, ambigua sui destini dell’Ucraina, aprì un nuovo capitolo che si chiuse con la vittoria finale dei bolscevichi ormai padroni della nazione.

Nel 1922 Lenin stava, tardivamente, iniziando a prendere in seria considerazione un progetto federale vero e proprio, prevedendo i rischi dello “sciovinismo” russo ma, per precarie condizioni di salute, non impedì l’ascesa del georgiano da noi noto come il “Baffone” e a lui a lungo fedele collaboratore: Vissarionovic Dzugazvili detto “acciaio”, in russo Stalin.

Nel 30 dicembre 1922 nacque l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, atto ratificato ufficialmente dal Comitato dei Soviet il 31 gennaio 1924.

Nel 1922 i russi costituivano al tempo il 70% degli iscritti al Partito influenzando la direzione generale dello stato ma nel periodo particolare a cavallo fra gli anni ’20 e gli anni ’30 fra la morte di Lenin e l’avvento di Stalin stavano per cambiare molte cose.

Dopo la guerra civile gli ucraini nel partito bolscevico dominante restavano in minoranza di fronte a quasi due terzi dei membri costituiti da russi della classe operaia.

La persistente russificazione continuava ad essere fonte di problemi irrisolti.

A partire dell’arrivo di Lazar Kaganovic come segretario del partito bolscevico ucraino ci fu finalmente la svolta, per le vigorose misure di industrializzazione e modernizzazione occorse verso la fine degli anni ’20.

La crescente ucrainizzazione era stata favorita dal clima di apertura socioeconomica inaugurata dalla NEP ( nuova politica economica ) del tardo leninismo. Il ministro della pubblica istruzione della repubblica popolare ucraina, Nikola Skrypnik, destinato presto ad essere una delle prime vittime della futura brutale repressione staliniana, mise in atto molte importanti iniziative per la lingua e la cultura nazionali.

Fra gli anni ’20 e gli anni ’30 la lingua ucraina era stata finalmente accettata come lingua ufficiale dell’amministrazione e la lotta contro l’analfabetismo accelerò lo sviluppo dell’identità nazionale in tutta la società. Gran parte della stampa e pubblicistica stava uscendo in lingua ucraina in grande copia. Il regime sovietico tardoleninista autorizzò perfino la storiografia di Nicolaevic Pokrovskij che condannava la russificazione dell’ex regime zarista.

In seguito all’avvento del “Baffone” però le tendenze in atto sono state brutalmente interrotte.

Si scatenarono purghe nelle amministrazioni periferiche in tutta l’URSS compresa l’Ucraina a partire del 1934 e, a seguire, il grande Terrore del ’36-’38 che decimò l’intero PCUS. Dell’Ucraina praticamente fu azzerato l’intero vertice amministrativo della RSS Ucraina nel 1938. Il Segretario del partito ucraino Stanislaw Kosior ( di etnia polacca ) venne destituito e gli prese il posto l’ucraino ma fedele Kruschev.

Le purghe staliniane non risparmiarono scrittori ucraini, più di 200 scomparvero in quel periodo. Sempre nel ’38 il Partito impose di nuovo la lingua russa come obbligatoria mentre venivano fatte chiudere tutte le altre scuole linguistiche. Dal 1934 iniziava anche a circolare l’espressione di “popolo sovietico” ( il narod più noto nei successivi anni ’70 ) come veicolo di un nuovo corso di russificazione.

Stalin, chiudendo la fase della NEP, mise in atto pure una spietata repressione dei contadini ucraini costretti ad entrare nel programma di collettivizzazione forzata della terra, con devastanti esiti demografici e sociali ricordati oggi con il termine “Holodomor” ( acronimo di Holod per fame, moryty per morte in lingua ucraina ).

Le repressioni contro la nazionalità ucraina continuarono spietatamente anche dopo la seconda guerra mondiale nonostante il valore degli ucraini nell’Armata Rossa. L’intera pubblicistica della storiografia era stata riscritta, emarginando pensatori ed ideologi locali.

Kruschev aveva “donato” ( secondo ora la recente lettura russa del regime di Putin ) la Crimea all’Ucraina nel 1954 e tentò di trasferire il controllo delle infrastrutture industriali al governo locale per calcoli politici propri ( non di certo per la nazionalità ) ma il PCUS, sfruttando anche la debacle della crisi di Cuba, lo sostituì presto con Breznev.

L’era brezneviana, a partire dalla nuova costituzione sovietica del 1977, si caratterizzava per la ridimensionamento radicale dell’autonomia delle repubbliche sovietiche in pieno ossequio al generale principio guida della “sovranità limitata” imperiale.

La nuova politica veniva pure giustificata dalla propaganda ufficiale per creare una presunta “nazione sovietica” superando le differenze etniche e nazionali.

Non cessarono altre nuove purghe nel governo ucraino come le dimissioni forzate del segretario dell’Ucraina Petro Selest accusato da Mosca per simpatie con cecoslovacchi insorti nel ’68. L’Ucraina, dopo l’inverno brezneviano, si avviava ad assumere un ruolo particolare nel processo di disgregazione dell’URSS.

Nel 1987 si svolse infatti un primo timido raduno di alcune centinaia di persone per commemorare l’Holodomor a Kyiv e successivamente a settembre del 1989, si aprì anche il primo congresso di sostegno per la perestroika noto come “Ruch” ( movimento in ucraino ) sempre nella capitale della repubblica. Nello stesso anno si dimise anche il potente segretario brezneviano Vladimir Scerbickij segnando la fine di un epoca.

Il Ruch nel 1990 assunse rapidamente dimensioni notevoli, con quasi mezzo milione di iscritti, ma ancora non orientato all’indipendenza vera e propria. Gli ucraini votarono infatti contro la proposta di riforma dell’URSS ma il golpe di agosto nel ’91 contro Gorbacev spinse rapidamente i rappresentanti del soviet supremo ucraino a sancire ufficialmente l’atto di indipendenza il 24 agosto.

Numerose critiche interne emersero sulla questione, non tutto il territorio aderiva con entusiasmo ai mutamenti istituzionali occorsi. Secondo l’analista Marek Waldenberg, la forza della propaganda, del regime, di abitudini di un sistema aveva in effetti il suo peso nella coscienza collettiva come la rielezione di esponenti del ex-regime comunista. Gli esponenti della Ruch si trovarono nello stesso identico problema dei nazionalisti di primo secolo nei confronti delle masse operaie e contadine pur alfabetizzate ed istruite mediamente meglio anche della media europea occidentale. Un clamoroso flop era stato difatti lo sciopero nazionale organizzato nel 1 ottobre 1990, solo gli studenti animavano le iniziative.

Nel 1996 si svolse un intensa maratona notturna nella Rada per la storica rielaborazione della carta costituzionale finora fino a quel momento ancora basata sul vecchio testo sovietico del 1978 che, nell’articolo 77, stabiliva la sovranità assoluta della repubblica su tutto il territorio senza distinzioni.

La riforma costituzionale del 1996 era stata invece democratico riconoscimento delle etnie territoriali modificando assetto territoriale in base all’art 134 che riconosceva l’autonomia della Crimea finora materia separata dalla costituzione sovietica del 1978.

L’art 132 stabiliva invece per tutto il resto del territorio la sovranità dello stato, uno ed indivisibile ammettendo l’esistenza di culture e lingue locali nelle forme autorizzate dall’art 140.

La regione del Donetsk, oggi ritenuta territorio russo da parte di Mosca, era stata soggetta alla dominazione zarista dal 1775 sostituendo o emarginando i cosacchi con dei coloni e militari russi. L’intero territorio era stato riorganizzato poi in provincia di Katerynoslav.

Dopo il collasso dell’impero, Kyiv istituì la cosidetta terra polovtsiana con capitale amministrativa Bakhmut mentre le milizie ucraine si scontrarono già subito sia con i bolscevichi, sia con i tedeschi occupanti inizialmente loro alleati.

Al ritorno dei bolscevichi il territorio era stato riorganizzato per una prevista annessione alla Russia ma gli alleati cosacchi di Charkiv si opposero.

Lenin attaccò allora il ritenuto “separatismo” di Fiodor Sergeev capo del comitato militare del Donetsk, impegnato nella lotta contro i bianchi di Denikin.

In seguito i bolscevichi abbandonarono presto l’idea dell’annessione per volontà di Stalin. Il 16 aprile 1920 infatti Stalin, come capo delle forze bolsceviche nella regione, abolì in sostanza la provincia di Katerynoslav sostituendola con provincia sovietica del Donetsk annessa interamente nella repubblica ucraina sovietica. La regione era stata ancora nuovamente riorganizzata negli anni ’30 e ’40 in distretti di Voroshilovgrad ( da Kliment Voroshilov padre della Donetsk sovietica, al tempo “governatorato del Donetsk” ) e Stalinograd fino agli anni ’60 e ’70 quando iniziavano a tornare le vecchie denominazioni.

Il regime sovietico era stato primo responsabile della scomparsa di quella antica provincia imperiale, oggi pretesa dall’attuale governo russo in base alla presunta eredità dal defunto impero appellandosi all’etnia e alla lingua comuni e il responsabile era proprio quel Stalin che il governo russo sta ufficialmente rivalutando in ottica imperiale e non ideologica nelle scuole ed università federali.

Il governo russo cerca infatti di mettere insieme simboli di grandezza imperiale con richiami al passato sovietico. Semplificare la Storia è anche arte della politica perché è utile per giustificare atti che poi vengono decisi non per il “grido di dolore” e passioni ma per ben più prosaici propositi quali risorse economiche e calcoli militari. Il gas sotto i mari del Mar Nero sembra che valga la pena davvero per chi decide nel Cremlino nonostante il prezzo da pagare, anche quando a toccare il fondo del mare conteso si trova lo scafo dell’orgoglio della marina russa con appresso giovani vite spezzate.

GABRIELE SUMA