mag 18, 2020 - Notizie    6 Comments

Draghi e Katane

Sulla data di inizio della seconda guerra mondiale molto si è discusso prevalentemente focalizzandosi sugli eventi europei per la semplice ragione che gran parte della produzione storiografica era di provenienza occidentale, europea o anglosassone escludendo, a torto e a ragione, l’equivalente di origine sovietica e non occidentale. La prevalenza del teatro europeo anche per eventi di portata globale rappresentava bene anche la percezione dell’occidente come centro e motore della Storia.

Una constatazione di fatto della storica egemonia culturale,militare,ideologica venutasi a creare inesorabilmente oltre i confini geografici per quasi mezzo millennio.

Oggi la tendenza appare essere di senso inverso; stiamo assistendo all’apparente ritirata e rinchiudersi dell’Occidente in tutti i suoi campi ,dalla tecnologia alla forza militare. Gli osservatori ed analisti valutano l’emergere della Cina come una “risposta” all’Occidente e la propaganda di Pechino, difatti, punta molto su una sorta di “revanscismo” nella presunzione di una percepita centralità perduta in passato. Il concetto di un “impero perduto” per incompetenza e corruzione dell’indebolito potere imperiale e per arroganza e superiorità militare dello straniero si sposa bene con il disegno nazionalista del governo autoritario cinese, determinato ad acquistare una posizione di egemonia presentandosi come modello alternativo all’Occidente sul palcoscenico mondiale.

Dovremmo preoccuparci ?

a mio parere la Storia non smette di insegnare per quanto poi le lezioni che se ne ricavano non arrivano ad influenzare gli eventi come se in qualche maniera il ripetersi degli schemi avvenga indipendentemente dalla consapevolezza acquisita.

La Cina, guidata da un oligarchia tecnocratica e legata alle forze armate, ha bruciato decenni di evoluzione tecnologica ed economica con pugno di ferro e pianificazione dall’alto guadagnando potenza militare e strumenti politici di portata globale. Gli USA hanno fornito il “carbone” al motore cinese con aiuti e finanziamenti negli ultimi anni della Guerra Fredda a scopo di allontanare l’Unione Sovietica dall’Asia senza curarsi delle conseguenze anche sui propri interessi a lungo termine.

Questo insieme di fattori può far richiamare alla mente l’ascesa altrettanto rapida del Giappone al momento della sua forzata apertura alle “navi nere” statunitensi fino alla sua improvvisa corsa alla conquista di terre e risorse per alimentare e mantenere lo sviluppo innescato a spese dei vicini con le buone e con le cattive maniere.

Si ritiene che nel 1937 la seconda guerra mondiale fosse già scoppiata in quanto Tokyo, confidente nella propria potenza, invase la Cina per aggregarla al proprio impero coloniale ( Manciuria, Taiwan, Corea, ex colonie tedesche del Pacifico ). L’aggressione giapponese suscitò indignazione mondiale per la efferatezza nei confronti della popolazione e timori geopolitici da parte di molteplici attori dell’arena internazionale. La Germania hitleriana fornì alla Cina armamenti ed equipaggiamenti prima che Tokyo accettasse l’alleanza proposta da Berlino mentre gli USA e Impero Britannico, dapprima sostenitori dell’imperialismo nipponico in chiave anti-russa, condannarono le aggressioni evitando però il confronto diretto.

Le ragioni dell’aggressività del Sol Levante risiedevano nelle necessità materiali di risorse necessarie e nello sviluppo economico di un sistema industriale sviluppato in un territorio povero,sia nell’ideologia neoshintoista ed imperialista che animava l’intera popolazione, convinta di una sacra missione e disposta ad ogni sacrificio per essa. Il fanatismo collettivo,unito al diffuso sentimento razzista ( parzialmente ancora presente nell’attuale società nipponica, tra l’altro ) è stato uno dei fattori della ferocia quasi incomprensibile del modo di pensare ed agire dei giapponesi durante tutta la guerra.

Era sempre stato sempre così il Giappone ? sì e no a dire il vero. Effettivamente il Giappone aveva intrapreso in passato due guerre di conquista particolarmente devastanti nei confronti della Corea senza dimenticare una più antica impresa ammantata dal mito alle origini stesse dell’Impero fondato dal Clan Yamato, tuttora la Casa Imperiale, forse la più antica dinastia reale vivente. Le avventure bellicose hanno contrassegnato i momenti in cui l’articolato arcipelago di isole veniva riunito con la forza delle armi, come “valvole di sfogo” per gli enormi eserciti rimasti senza lavoro e senza possibilità di reimpiego della vita civile ritenuta degradante, quasi insultante.

Così come Hideyoshi, fondatore dello shogunato pur non diventandone mai Shogun ( titolo che verrà attribuito solo al suo più caro alleato in vita sua, dopo un altra guerra civile ) scatenò i samurai disoccupati alla conquista della Corea nel 1592 venendone poi sconfitto, così i clan filo-imperiali, una volta abbattuto lo shogunato nella Guerra Boshin ( 1868 ), ritennero di dover imitare le potenze coloniali del XIX secolo cercando in Asia spazi non ancora raggiunti da altre potenze a danni di paesi vicini senza nemmeno la scusa del proselitismo religioso e propositi di civilizzazione. Tutto questo accadeva per singolari circostanze scaturite da un sistema politico dominato dalle forze armate rappresentanti direttamente l’autorità dell’Imperatore.

L’Imperatore era stato fatto semidivino proprio nell’occasione del trasferimento del Trono dall’antica capitale Kyoto alla ex capitale dello Shogunato a Tokyo ( la vecchia Edo ). Da prendere in considerazione il fortissimo carattere simbolico della demolizione dell’immenso castello degli Shogun con conseguente installazione, sulle fondamenta risparmiate, del Palazzo Imperiale tuttora esistente al centro esatto della attuale tentacolare megalopoli nipponica.

L’Esercito, modernizzato con lo studio dei modelli europei, si proponeva di diventare strumento, rappresentando l’Imperatore, dei clan vincitori ( fra tutti i potenti Satsuma ) che rapidamente si presentarono al mondo nella veste di dinastie di industriali ed impresari. Le concentrazioni dei gruppi dominanti della nascente industria disprezzavano però i meccanismi del commercio moderno per pregiudizi ed abitudini secolari preferendo la via alla conquista come soluzione alla povertà di materie prime nel territorio. Cosi si era arrivati a quel lungo e doloroso processo di colonizzazione della Corea e della Manciuria.

Quando la Grande Guerra disintegrò l’assetto europeo, il Giappone non perse occasione di espandere il suo impero anche nel Pacifico inglobando le colonie tedesche senza sparare quasi un colpo, avvicinandosi molto alle altre colonie occidentali, in particolare Filippine passate ad essere un protettorato statunitense in seguito alla guerra ispano-americana del 1898. Non è un caso che proprio negli anni fra la fine della Grande Guerra e l’Ultima Guerra gli americani ,prevedendo il conflitto, avevano messo in cantiere il famoso Piano Orange basato su elementi chiave della condotta strategica effettivamente applicata contro il Giappone durante la seconda guerra mondiale.

Quando Francia ed Olanda crollarono sotto i panzer germanici nel 1940, l’Indocina francese, sotto gestione di Vichy, scivolò nell’orbita di Tokyo impegnata a preparare una vastissima operazione che, come un disastro meteorologico improvviso, avrebbe dovuto travolgere tutto il resto dell’Asia meridionale. Un simile uragano di fuoco era dovuto alla impellente necessità di prelevare petrolio e materie prime per sostenere la propria industria anche colpita duramente dalle sanzioni inflitte dagli USA per la guerra contro la Cina che si trascinava sin dal lontano 1937.

La guerra con gli USA scoppiò quasi come per “costrizione” considerando che i vertici politici di Tokyo, in diverso grado, erano consapevoli della superiorità statunitense come è stato dimostrato dalla febbrile attività diplomatica poco prima di Pearl Harbour per una risposta alla richiesta americana di ritiro dal Sud-Est Asiatico e dalla Repubblica Cinese allora guidata dal generalissimo Chiang Kai Shek.

In tempi attuali può far riflettere la similitudine con lo scenario odierno della militarizzazione cinese in corso da anni nel Mar Cinese Meridionale per implicazioni geopolitiche per l’economia cinese dipendente ancora molto dall’importazione di petrolio e altre forme di energia da molteplici fonti fuori dal proprio territorio.

Per quanto non si ebbero dubbi sulla legittimità delle campagne belliche in Asia, taluni ambienti della Marina Giapponese erano molto preoccupati della grandezza industriale della Grande Repubblica Stellata accertata da addetti militari e agenti diplomatici. l’Ammiraglio Tomosaburo Kato, spietato nelle repressioni contro la dissidenza, rappresentando la Marina e la Nazione alla celebre Conferenza Navale di Washington del 1922, tentò di ritardare la guerra proponendo migliore bilanciamento del numero delle corazzate fra le maggiori marine. Un impegno fortemente criticato dai falchi della Marina e dell’Esercito che fecero di tutto per far fallire ulteriori negoziati temendo di far perdere all’Impero nipponico le conquiste in Cina e in Corea. La febbre nazionalista aveva coinvolto la Marina a tal punto che già poco prima di uscire dal Trattato di Washington aveva  ordinato la costruzione della supercorazzata Yamato nei cantieri di Kure.

Il contrasto fra Esercito e Marina si potrebbe anche spiegare con la tensione interna dovuta allo squilibrio economico ingenerato dalla crisi della produzione agricola conseguente all’abbandono dei campi verso le città durante la fase di industrializzazione, che a sua volta necessitava di costante afflusso di materie prime ottenibili solo con importazione.Ciò mentre la Corea fin dal 1919 restava indocile per non parlare delle difficoltà in Cina. Inoltre c’è stato un breve periodo in cui a partire dall’adozione del suffragio universale maschile nel 1928 furono adottati strumenti repressivi in nome dell’ultranazionalismo conservatore sotto la bandiera dell’ideologo Ikki Kita che sognava una Nazione fondata sullo “spirito” alla maniera simile dell’Hitleriano motto di un popolo,una nazione,un Capo. Il moderato primo ministro Hamaguchi Osachi si trovò ad affrontare la Grande Crisi del ’29 e l’ostilità dell’Esercito che organizzò un attentato contro la sua persona.

La situazione peggiorò negli anni successivi in seguito ai crescenti disordini in Manciuria e Corea, nei quali l’Esercito agì senza autorizzazione dell’Imperatore ( Hirohito ). Si trattò di quel convulso periodo in cui l”Ultimo Imperatore” Pou Yi, reso celebre dall’opera filmica di Bernardo Bertolucci ( 1987 ) , cacciato dalla nascente Repubblica Cinese divenne il sovrano fantoccio della Manciuria sotto protezione giapponese. Un periodo di caos politico anche per il Giappone stesso che diventò teatro di attentati di ministri e alti dirigenti del Governo da parte dei nazionalisti più fanatici fino alla morte del primo ministro Inukai Tsuyoshi,ucciso in un attentato, nel 1932, anno dell’inizio del vero e proprio fascismo nella terra del Sol Levante.

Quando gli apparecchi lanciati dalle portaerei bruciarono le corazzate americane a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941, buona parte dell’arcipelago indonesiano entrò forzatamente a far parte dell’ormai vastissimo impero di Yamato partendo sopratutto dall’isola di Hainan sottratta alla Cina nella primavera del 1939. L’affondamento spettacolare della corazzata Wales e incrociatore Repulse della Marina Imperiale Britannica sotto le bombe aeree furono il più significativo simbolo di quella inesorabile tempesta di ferro e fuoco come aveva promesso Yamamoto all’allora Primo Ministro Konoe poco prima dello scoppio della guerra.

I giapponesi invasero territori statunitensi e britannici fino alle porte dell’Australia travolgendo l’opposizione sempre più ostinata fino al 1942 quando la tremenda disfatta nella grande battaglia delle Midway nel giugno dello stesso anno pose fine alla potenza navale della Marina Imperiale giapponese.

Mentre la Thailandia diventava alleata dell’Impero, i giapponesi, tramite complesse quanto spettacolari manovre da manuale, cacciarono i britannici dalla Birmania nella primavera del 1942 restandone padroni incontrastati per lungo tempo.

La lunga occupazione di buona parte della Birmania e del resto della penisola durò per quasi tutto il resto della guerra con conseguenze poi importanti per lo sviluppo dell’ideologia nazionalista locale che caratterizzerà i diversi processi del cosiddetto periodo di “decolonizzazione” post-bellica ponendo fine all’epoca degli imperi coloniali usciti apparentemente vincitori dal conflitto.

La linea del fronte nel sud-est asiatico affondava fra intricate giungle e montagne inaccessibili e mutava costantemente forma a causa dell’inedito modo di fare la guerra imposta dalle particolari condizioni ambientali. I monsoni e l’assenza di strade rendevano impossibili manovre spettacolari di massa tipo guerra europea ma i giapponesi si adattarono molto più velocemente degli inglesi riuscendo anche a dare parecchio filo da torcere pur con crescenti difficoltà in seguito alla catastrofe di Midway.

Grossomodo ci sono stati due differenti dinamiche degli eventi militari che hanno sconvolto la Birmania a partire sopratutto dal ’43, il fronte principale occidentale verso le porte dell’India e i confini settentrionali in direzione Cina.

Gli inglesi lasciarono dietro le linee nemiche nuclei di guerriglia costituiti da non veri e propri professionisti ma entusiasti volontari, conosciuti con il termine di “chindit” tratto dal termine “chinthe” nome di un leggendario grifone birmano. Questi gruppi si impegnarono molto in attacchi di disturbo guadagnandosi prestigio e fama, con effetti sul morale degli alleati sul fronte. La guerriglia,gestita con notevole successo da Charles Orde Wingate già conosciuto per essere stato consulente militare delle forze dell’Abissinia dell’imperatore Hailè Selassiè contro l’Italia nel 1936, era destinata a mutare l’esito stesso della guerra in quelle latitudini.

Gli alleati ebbero buon gioco grazie agli enormi vantaggi del virtualmente infinito “Arsenale della Vittoria” che vomitava a getto continuo materiali e mezzi di ogni genere. I giapponesi, invece, erano avviati al lento declino pur conservando nei territori birmani occupati una piccola ma sempre agguerrita forza costituita da veterani per quanto sempre più allo stremo per la riduzione dei rifornimenti e rinforzi dovuta ai rovesci sempre più gravi nel fronte del pacifico.

Gli inglesi, ancora legati a dottrine classiche, tentarono una grande offensiva convenzionale verso la fine dell’anno ’43 per sfondare la “porta di ingresso” per il Mandalay quale l’area di Akyab. L’esito fu subito disastroso nonostante l’abbondante messa a disposizione di forze e la battaglia assunse presto i famigliari tratti delle “Somme” della Grande Guerra: attacchi a testa bassa, perdite pesanti, insignificanti risultati. I giapponesi tennero saldamente in mano l’intera situazione con le sole forze disponibili richiedendo, solo dopo diversi giorni, il rinforzo di una sola divisione comandata da Takeshi Koga che cambiò le carte in tavola travolgendo e mettendo quasi in rotta gli anglo-indiani, pur superiori di numero ma divisi dai fiumi ed asperità del terreno. Una manovra quasi di stile napoleonico che costò agli alleati ingenti perdite materiali e migliaia di vittime fra morti e feriti.

Un risultato decisamente eclatante, considerando le difficili condizioni in cui i giapponesi a quel momento si trovavano suscitando negli alleati drastiche riconsiderazioni sulle proprie tattiche e sull’organizzazione.

Immediata conseguenza fu una serie di “cadute di teste” nel comando anglo-indiano spianando la strada all’ambizioso quanto spietato generale William Slim che aveva guidato la ritirata dalla Birmania di fronte all’iniziale invasione nipponica e represso con decisione rivolte nel Bengala da parte delle popolazioni locali colpite da privazioni causate dalla guerra in corso.

I rovesci subiti avevano scosso Churchill che propose, come suo solito, audaci concetti come la sostituzione degli indiani con “commandos” per “forgiare” un nuovo esercito indiano con il loro esempio. Per questo motivo, in seguito ad intensi dibattiti fu scelto Lord Claude Auchinleck che diventò il “padre” dei moderni gurkha che vennero inseriti in forza standard di un battaglione a tutte le brigate anglo-indiane.

Wingate e Slim, in modi diversi, avevano riorganizzato la possente arma aerea per il ruolo di sostegno ravvicinato sia nelle battaglie che nei rifornimenti per prevenire le consuete strategie di avvolgimento dei giapponesi.

Una strategia non nuova perché già contemplata dai tedeschi sul fronte russo pur su scala assai inferiore ( le truppe assedianti Stalingrado furono rifornite tramite via aerea ).

Solitamente gli inglesi trascuravano i bisogni e le condizioni psico-fisiche della truppa ( al contrario degli americani e di altri alleati occidentali in genere ) ma sul fronte indiano si è assistito a forte impegno per assistenza sanitaria ed alimentare per migliorare il morale e prevenire il malcontento coltivato da propaganda nemica e ridurre gli effetti devastanti della malaria e altre malattie particolarmente virulente in quella regione.

Le disfatte subite sono state dunque di lezione preziosa e ben presto gli alunni ( gli alleati ) impararono dai propri errori finendo per battere i maestri ( i giapponesi, o meglio il “napoleone birmano” Koga ) .

I giapponesi, logorati da persistenti incursioni limitate, ritennero di anticipare gli alleati con una vasta ed articolata operazione offensiva allo scopo di ottenere quella “battaglia decisiva” che tanto Tokyo ricercava per ottenere condizioni migliori per un eventuale negoziato.

L’offensiva aveva come obiettivo principale la distruzione delle forze anglo-indiane nella cruciale area di Imphal attualmente in territorio indiano, nella regione del Manipur fra il Bangladesh e l’attuale Myanmar ( la vecchia Birmania ). L’intera operazione fu affidata sul campo a Motoso Yanagida al comando di una divisione praticamente contro tutto l’intero IV corpo d’armata anglo-indiano di presidio dell’area. Contemporaneamente a ciò i giapponesi pensarono di ingannare gli alleati con una “finta” nell’Arakan ( una regione del Bengala orientale, a sud del Bangladesh ) per allontanare dal vero bersaglio ingenti forze nemiche. Il piano studiato dal generale Renya Mutaguchi, famoso per la sua presa di Singapore all’inizio della guerra, era ambizioso e prevedeva un azione coordinata di ben tre divisioni diverse suscitando però molte perplessità nei vertici militari nipponici in Birmania, ben consci dell’ormai incontrastato dominio aereo alleato. Si trattava di un audace manovra, insolita per gli standard nipponici, con colonne di carri armati e blindati nonostante il carattere impervio del terreno caratterizzato da montagne,risaie, paludi entro i termini previsti di quasi tre settimane.

Audace piano già reso quasi suicida per il cattivissimo stato in cui si trovavano due su le tre divisioni previste per l’operazione e senza quasi alcuna copertura aerea, contrariamente agli standard tedeschi dell’epoca, basati proprio sul principio del controllo del cielo per il successo.

Gli inglesi avevano in zona Imphal diverse forze,fra cui 2 brigate corazzate indiane, il nerbo della futura arma corazzata indiana moderna ( pur con comandanti inglesi ), costituite da carri armati di produzione americana e, disponibili come eventuali rinforzi, tre battaglioni gurkha e circa una dozzina di regolari indiani. A conti fatti, i giapponesi attaccarono in inferiorità numerica, senza supporto aereo e malamente equipaggiati contro difensori ben assestati e, con tutta probabilità, già ben informati sulle intenzioni considerando che erano già studiate complesse contromisure per neutralizzare l’azione nipponica, facendo massiccio uso dell’arma aerea.

L’intero piano giapponese era già andato in crisi quando un’intera divisione indiana riuscì ad evitare l’accerchiamento e i carri armati alleati risultarono pure impenetrabili quasi ai colpi. Gli alleati evitarono la battaglia per logorare i giapponesi attraverso il territorio. Da notare anche che la strategia dell’Arakan si risolse in un fallimento poiché gli alleati trasferirono numerosi rinforzi ( parecchi indiani ) provenienti dalla regione via aerea annullando i terribili sforzi degli attaccanti. Nella fase più violenta della battaglia gli alleati erano in netta superiorità numerica e la versatile, quanto modernissima, strategia difensiva diede poi la vittoria alla parte alleata.

I giapponesi si privarono di uno dei loro vantaggi quale la giungla e l’asperità del terreno che garantì loro la lunga tenuta della Birmania cercando battaglia in terreni sempre più aperti del tradizionale paesaggio indiano con tutte le conseguenze del caso quando il cielo è sotto controllo avversario. La situazione divenne poi catastrofica per i giapponesi che si trovarono ormai senza scorte, munizioni e cibo e la guerriglia chindit, sempre attiva, tagliava i rifornimenti che venivano passati a dorso di mulo lungo sentieri aspri di montagna. Intanto la malaria stava falcidiando senza distinzione di grado fra i ranghi di entrambi gli eserciti contrapposti. Iniziò così la lunga,terribile, “anabasi” dell’esercito giapponese battuta in ritirata, in condizioni ancora peggiori rispetto alla famosa vicenda narrata dallo storico greco Senofonte quasi duemila anni prima.

Nella ritirata fu completamente distrutta un intera divisione fra le tre scese in campo durante l’operazione e con essa l’intera 15° armata giapponese della Birmania non si riprese più.

I giapponesi si impelagarono nella lotta contro gli uomini comandati dall’instancabile Wingate fino a quando egli morì improvvisamente in un incidente aereo durante i combattimenti nel ’44. Ormai la Birmania era sempre più campo di battaglia con gli alleati in avanzata e i giapponesi in crescente difficoltà. I gurkha e le unità chindit ben presto indebolirono i giapponesi in tutta la Birmania settentrionale a tutto vantaggio dell’importante canale di rifornimenti ed aiuti alleati per la Cina di Chiang Kai Sheki impegnata a respingere sempre più furibondi attacchi nipponici proprio in quel periodo con conseguenze decisive per le sorti della guerra in Asia.

I giapponesi si batterono ferocemente nei pressi di Mogaung, nel nord della Birmania, da tempo nel mirino degli alleati determinati a garantire l’afflusso di aiuti per la Cina gettando nella fornace anche i celebri guerriglieri di Wingate. A questa battaglia parteciparono anche parecchi cinesi del Kuomintang. Le perdite furono terribili da entrambe le parti.

I giapponesi iniziavano a subire le conseguenze del collasso dell’intera arma aerea imperiale giapponese decimata dagli sterili combattimenti sul fronte delle Salomone fra il ’42 e il ’43. Gli angloamericani stavano invece anche iniziando a superare tecnologicamente, non solo materialmente, i leggendari Zero dapprima temuti.

l’intero fronte della Birmania era definitivamente crollato e la guerra poteva anche considerarsi virtualmente conclusa poiché in seguito si trattò di una interminabile e sanguinosissima operazione di rastrellamento ed inseguimento dei giapponesi che batterono in ritirata verso il sud della Birmania.

La fine dell’Asia agli asiatici era iniziata…ora la Storia sembra ritornare sui suoi passi, stavolta non più il Sol Levante ma artigli del Dragone, tiranni di una volta,tiranni di oggi uniti simbolicamente dal motto “Asia agli asiatici” sotto il giogo dell’imperatore di turno, dagli occhi a mandorla. Le ragioni ? sempre le stesse, fame di energia per sopravvivere al proprio sistema che viene pompato e sostenuto sempre dai soliti: i militari.

Le foto in bianco e nero resteranno solo nei libri oppure saranno accompagnate da immagini simili, con armi diverse ma con medesimo sangue sparso?

Si eviterà di cadere nell’abisso se si troverà modo di contenere il Dragone nonostante la crisi economica,il coronavirus e la democrazia minacciata e vilipesa ?

GABRIELE SUMA

6 Comments

  • Lo stile è piacevole,i commenti congrui e azzeccati.Si avverte la passione,che alle volte prende la mano e trascina a non perfette proporzioni.Si percepisce attenzione al dramma umano,che è sempre lo stesso dai tempi di Senofonte.Tirando un po’ le briglie il lavoro è ottimo.

    • la passione travolge ma senza passione l’opera perde anima :) grazie per il commento :)

  • Nonostante la complessità dell’argomento che comporta una ricchezza di particolari con riferimenti storici a tutto il sud est asiatico, lo scritto è comprensibile e lo stile è molto professionale.

    • ti ringrazio per il commento :) cercherò di essere sempre chiaro quanto possibile :)

      • Sei sempre chiaro. Ho trovato interessante il fatto che nel 1937 la guerra fosse già scoppiata in Oriente.

        • si anche se è pur vero che già guerre ne sono scoppiate diverse dopo la Grande Guerra come la guerra russo-polacca del 1921.

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