gen 19, 2019 - Notizie    12 Comments

Gigantismo Democratico

La natura umana si esprime anche con la materia di cui sono fatte le abitazioni e i monumenti fin dall’alba della sua esistenza sulla Terra. La rapida evoluzione delle tecnologie ha permesso di realizzare opere di dimensioni tali da diventare parte del paesaggio per periodi anche di millenni.

La durata è parte dell’antico sogno di immortalità degli uomini. La memoria, saldata su durature costruzioni, garantisce l’eternazione della vita dei potenti nel cuore dei popoli. Enormi dimensioni sono concepite per sovrastare gli individui a scopo di suscitare timore reverenziale ed impotenza. I simboli del Potere vengono innalzati ad altezze tali da sottolineare la continuità del sistema fuori dalla portata dei sudditi. La pesantezza delle linee e forme per scoraggiare propositi di modifica ed attacchi come una sorta di corazza.

L’avvento delle democrazie ha introdotto un approccio differente nella linea di principio ma simile nel risultato finale. La spiegazione la si ritrova nella generica assenza di interesse dei committenti per audaci innovazioni tecniche. I committenti politici, anche nelle democrazie, apprezzano di più l’impatto visivo facilmente riconoscibile ed interpretabile. Lo spettacolo delle scenografie gratifica il committente che sa poi di poter investire nella certezza di apprezzamento sicuro da parte di tutti. Un investimento pregnante di occasioni di carriera e successo di immagine. In questo senso che i governi hanno approvato progetti di strutture anche di banale funzione pratica ma appesantite da ridondanti abbellimenti, dimensioni non necessarie e modifiche imposte.

Gigantesche stazioni ferroviarie, colossali palazzi pubblici, grandi spazi per riunioni di ogni genere si sono moltiplicate in tutti i paesi a regime democratico. Una tendenza spesso accompagnata da fenomeni di corruzione,disastri e fallimenti vari.

Numerosi progetti sono stati elaborati per compiacere i committenti sottovalutando l’effettivo costo e valore pratico e non tutti hanno visto poi la luce per la forza maggiore di eventi e circostanze impreviste. La mancata realizzazione ha comportato risparmi di energie e risorse e forse dato risparmio agli occhi degli osservatori di inesorabili brutture specie nel corso del tempo in considerazione della generica trascuratezza di problemi di manutenzione nella presentazione dei disegni a committenti.

Esempi di grandi progetti architettonici andati rapidamente in rovina sono innumerevoli ma basterebbe anche solo ricordare il disastroso stato di avveniristiche strutture disegnate per l’evento del G8 presso La Maddalena. Complessi ambiziosi divenuti, in tempo brevissimo, tristi ammassi di rovina inesorabile senza possibilità di recupero.

I materiali moderni hanno dimostrato di durare molto di meno e di richiedere appunto accurata, e costosa, manutenzione. Il caratteristico dinamismo degli equilibri politici di un sistema democratico comporta notevole incertezza sui programmi di finanziamento di lungo periodo. Le strutture architettoniche che godono di assistenza continua sono quelle assunte a simbolo di riferimento nazionale.

Edifici pubblici di prestigio sono sempre un “biglietto di presentazione” di uno stato per l’arena internazionale. La forza economica e militare di una nazione sono meglio espresse con lo stato sano delle strutture e monumenti che li rappresentano. La solennità,spesso esagerata a proposito, è un costo che ogni nazione sostiene al suo meglio nella stessa maniera degli uomini e donne quando si incontrano con ricercato aspetto.

La finalità pratica e la suggestione artistica non sempre si incontrano,anche nella civiltà romana famosa per il profondo senso pratico dell’architettura.

Un esempio eclatante di virtuosismo esagerato era la celebre Domus Aurea voluta fortemente da Nerone che si vantava,di suo, di essere un “grande artista”. Un complesso di edifici e spazi privati di dimensioni tali da suscitare critiche da parte dei suoi contemporanei. Un colossale progetto rimasto incompiuto per la morte del suo committente e rimasto poi profondamente alterato e ridimensionato fino a quasi scomparire.

I progetti voluti da regimi non autoritari non sono da meno sull’abbondante uso di risorse e spazi per enfatizzare anche la ricchezza e la potenza dei suoi committenti. Un modo di fare che si allaccia quasi direttamente all’atteggiamento di attestazione di potere della borghesia emergente sulla costruzione delle cattedrali come simbolo di prestigio dinnanzi alla aristocrazia feudale.

Un esempio di continuità del ruolo simbolico delle cattedrali è la storia della Cattedrale cattolica di Liverpool. Il progetto doveva rappresentare l’orgoglio dei cattolici irlandesi immigrati da tempo nella città sotto il regno della protestante Inghilterra. Le autorità ecclesiastiche non riuscirono a far avviare i lavori del progetto approvato nel 1853 fino al 1929 data di celebrazione del Catholic Relief Act approvato nel lontano 1829 a favore di libera pratica religiosa dei cattolici.

Le autorità committenti hanno scelto Edwin Lutyens conosciuto per la realizzazione di ambiziosi edifici fra cui il Palazzo del Vicerè a New Delhi in India. Egli perseguiva la nuova tendenza dell’Eclettismo che stava prendendo piede in vari campi artistici. Il progetto di Lutyens sarebbe dovuto essere caratterizzata da una mescolanza audace di arte bizantina ed elementi rinascimentali. Lutyens non pose limiti alle dimensioni che avrebbero potuto superare addirittura quelle della Basilica di S.Pietro a Roma.

I committenti, di solito sensibili al gigantismo, approvarono il disegno che fa richiamare piuttosto alla mente il caustico commento fatto da Michelangelo nei confronti del progetto alternativo di S.Pietro da parte di Antonio da Sangallo il Giovane:

(…) tanti angoli bui e nascosti…che offrivano l’opportunità di consumare infamie di ogni genere,come servire da rifugio ai fuorilegge…(…)

Il grande Architetto Buonarrotti si riferiva proprio all’aspetto carvernoso e cupo degli interni in netta contrapposizione allo stile luminoso e leggero tipico dei suoi progetti che non sempre furono compresi dai suoi contemporanei e successori come nel caso della basilica di S.Maria degli Angeli eretta sulle rovine delle Terme di Caracalla sempre a Roma.

I contemporanei di Lutyens,invece, accolsero con entusiasmo il disegno presentato con abilità dal collaboratore John Thorp nel 1932 durante una importante esposizione ( Royal Academy Summer Exhibition ). I lavori iniziarono l’anno successivo ma procedevano con lentezza fino ad essere del tutto fermati allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Liverpoll ha avuto forse la fortuna di evitare di trovarsi una montagna sgraziata e pesante di gradoni e cassettoni con una gigantesca cupola che avrebbe superato quella di S.Pietro senza però la medesima raffinatezza dell’impianto generale. La città dei Beatles sarebbe stata dominata da una versione moderna di una sorta di S.Pietro di Sangallo il Giovane con la tipica pesantezza delle forme di malintesa copia di modelli e stili del passato.

Gli eventi bellici e la crisi economica successiva segnarono la fine del sogno ( incubo ? ) di Lutyens e dei suoi committenti fino al 1967 quando i lavori, discontinui, culminarono dando alla città una versione decisamente più piccola e alleggerita con il tocco del nuovo architetto assegnato Frederick Gibberd.

Nel medesimo periodo, fino agli anni ’60, fiorivano simili progetti architettonici tutti caratterizzati dall’entusiasmo generato dalle potenzialità offerte dall’industrializzazione. Dalle case sospese di Lissitzky ( Mosca ) alla città verticale di Le Corbusier ( Parigi ) si voleva sfidare la gravità e i limiti fisici della Natura senza considerare la dimensione umana degli individui in ossequio alla diffusa tendenza a ritenere un elemento tangibile la “massa” o la “società” con i suoi supposti bisogni.

Un esempio notevole di gigantismo democratico ( in tutti i sensi, anche inteso come dominio della massa sugli individui ) era il colossale Grattacielo Illinois disegnato da Frank Lyold Wright nel 1959. Il paradosso vuole che Wright era profondamente legato all’americano ideale di “home” con giardino e privacy famigliare contrariamente al diffuso fenomeno di proletarizzazione urbana con i suoi casermoni ed alveari che stavano per dominare i paesaggi di numerose città nel mondo. L’architetto immaginava una società facilmente plasmabile con interventi ingegneristici come era convinzione diffusa in quel periodo, non solo nel socialismo reale. Il dinamismo e il caos della società atomizzata attuale non erano minimamente presi in considerazione da molti progettisti e committenti suoi contemporanei.

Wright immaginava un grattacielo alto ben 1600 metri, un altezza mai raggiunta tuttora ( il celebre Burj Khalifa raggiunge appena 828 metri ! ) quando il grattacielo più alto del mondo era ancora l’Empire State Building con i suoi 381 metri appena. Il progetto avrebbe potuto accogliere quasi 100000 persone destinate a viverci, non solo per lavorare come molti contemporanei grattacieli. Wright era fiducioso sull’uso dell’energia atomica, in un epoca di grande fervore per l’atomo, come strumento per favorire l’abitabilità con ascensori e veicoli a propulsione nucleare ignorando, da architetto, le complicazioni e i pericoli insiti di un uso così disinvolto ( l’energia atomica resta tuttora non utilizzata in luoghi domestici ). Il progetto era fantascientifico pur disegnato da una mente aliena da voli pindarici della fantasia e audace nelle sue premesse come un uso massiccio di elicotteri quando stavano cominciando ad entrare in gran numero nella società. Inoltre Wright, da estimatore di giardini, prevedeva di radere al suolo vastissime aree per ricoprirle di cemento per fare da base della gigantesca torre con tutti i problemi di equilibrio ecologico che potevano emergere anche al di là nel tempo.

In sostanza il sogno di individui felici e lavoratori con il proprio angolino dentro un immane alveare senza la libertà di ariosi spazi e,possibilmente, privo di divertimenti e altre forme di espressione ( attività difficilmente calcolabili e pianificabili dall’alto ) sarebbe diventato un incubo orwelliano nonostante l’ideologia positivista della democrazia sopratutto di quel periodo ancora non scosso appunto dai dubbi e alternative dell’individualismo propri degli anni ’60 e ’70.

Oggi si sta assistendo alla tendenza a voler ritornare a forme idealizzate del passato,ancorandosi a simboli rassicuranti della vecchia società di massa, “il popolo”, riportando dagli angoli della memoria concetti dei confini e necessità come elementi tangibili per disegnare forme di riferimento fra la propria comunità e l’esterno.

Il paradosso di Wright dalla ciclopica piramide democratica potrebbe ritornare sotto forma di stati che si trasformano in isolati grattacieli chiusi per la “massa” con il proposito di garantire a tutti un proprio loculo indipendentemente dalle reali circostanze e i limiti logici e materiali.

Le torri di Blade Runner sono il nostro orizzonte fra le pieghe del mutevole futuro ?

GABRIELE SUMA

12 Comments

  • Sempre interessanti le tue argomentazionisul parallrlismo conclusivo sulle attuali vicende.Mi trovi pienamente d’accordo.Buon lavoro.

    • La ringrazio. Sono lieto che sia stato di suo gradimento !

  • buon approfondimento e piacevole lettura.Mi viene in mente il Walhalla di Donaustauf sul Danubio.

    • si, ho notato che i progetti grandiosi suscitano più interesse a chi vuole investirci per lasciare un segno ai posteri…

  • mi piace riportare quanto tu mi ha scritto dopo un viaggio a Tokio:

    Tokio offre in sè immagine delle molteplicità , unità degli opposti , fusione di contrastanti esistenze.
    Il Crisantemo,l’Ufficiale di Marina e la Lady in Kimono convivono in un quadro incorniciato di visioni in apparenza inconciliabili come una opera d’arte kitch . Labirinto di sensazioni visive prive di razionalismo “occidentale”a scopo di ingannare senza malizia chi si addentra: surrogati in resina di succulenti piatti, il misterioso buco nero al centro della infinita metropoli quale il palazzo imperiale intriso di mistero divino, gli specchi vorticosi di Omotesando, i sorrisi dietro ventagli delle dame della vecchia Asakusa , la quiete degli alberi di Ueno , il passaggio timido e accarezzato da petali di ciliegio del fiume Sumida , il clangore ritmico delle ruote dei treni sopra gli archi di pietra di Yamanote , il gigante d’acciaio Tokio Tower come lontano cugino della Torre Eiffel , i tavoli senza gambe e i profumi dei Ryokan , le speranze e i sogni versati ogni notte nelle fessure delle macchine dei fumosi locali Pachinko , i desideri e le luci di Ginka , le cravatte e i tacchi fra i pilastri della burocrazia di Marunochi , i silenzi attorno ai millenari legni dei santuari Meiji , le ceneri degli antenati del cimitero di Aoyama , gli abissi luminosi sotto gli spalti della ambiziosa Skytree , il barrito degli elefanti dello Zoo beniamini dei bambini frammischiati agli echi strani di cormorani e rospi. Tokio è un universo,non una città. Le città occidentali hanno un “centro” e una ” periferia ” che non esistono nella Capitale dell’Est (il significato etimologico di Tokio)
    Tokio racchiude e mescola e ritrasforma il passato , il presente e i molteplici futuri senza mai definire in una sola parola la sua natura.
    Tokio è lo specchio in cui ogni visitatore non vede Tokio in sè ma la” sua” Tokyo a seconda di aspirazioni , sentimenti, propositi . Tokyo è come una persona che vorresti amare ma che ami per ciò che ritieni debba essere e non per quello che è l’ altro
    .
    Yuko Mishima aveva scritto in ” Il Padiglione d’oro ” :

    ” Lascia che l’oscurità che è nel mio cuore diventare uguale all’oscurità che avvolge le innumerevoli luci ”

    Ho riportato questa tua descrizione in quanto anche io ho percepito in giappone rispetto , discrezione , bellezza pacata anche nelle costruzioni più ardite . Hai conoscenza di forme di ” gigantismo” anche lì in posti da me non visitati?

    • no per due ragioni:

      1) Il Giappone è povero di materie prime e sopratutto di spazi edificabili

      2) gran parte dell’arcipelago è caratterizzato da devastanti fenomeni sismici.

      La più grande costruzione mai fatta dal popolo giapponese nel territorio era il Castello di Edo, simbolo del potere dello Shogunato Tokugawa e per questo raso al suolo in seguito alla sua caduta. Sono visibili il suo immenso perimetro e il fossato nell’area del Palazzo Imperiale nascosto all’interno da parchi e boschi. Un polmone verde al centro della tentacolare megalopoli.

  • Pregevole come sempre questo tuo articolo sul gigantismo democratico, preciso, professionale e, soprattutto, originale.
    Bruno

    • La ringrazio per il giudizio :)

  • Ogni tuo scritto induce a riflettere. Come inquadri le opere dell’architetto Mies Van Der Rohe ed il suo celebre “Less is More” ?. Maestro di più generazioni riteneva che essenzialità, minimalismo e purezza liberassero la mente dell’architetto da strutture non necessarie. Ne scrivo perché ho visto un documentario sulle sue opere; documentario che ho seguito con estremo interesse dopo aver letto e apprezzato il tuo “Gigantismo Democratico”.

    • non conoscevo Mies Van Der Rohe e ti ringrazio per il riferimento. Io sono d’accordo con l’idea che ci deve essere sempre equilibrio fra uomo ( inteso come individuo ) e lo Spazio ( separato dalla “società” ) in modo tale che entrambe le sfere si rispettino a vicenda a tutto vantaggio dell’intero sistema in cui fanno parte.

  • Analisi attenta e precisa su una triste realtà. Taranto purtroppo ne è un esempio.

    • vero, bisogna sempre stare attenti agli eccessi, in ogni latitudine.

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